Un nuovo studio nell'ambito della linguistica ha mostrato come l'utilizzo frequente delle parole che indicano concetti o oggetti comuni, tende a congelarle, impedendone l'evoluzione in forme differenti - sia all'interno della stessa lingua di appartenenza sia nella loro "esportazione" in altre lingue o culture. Al contrario di quanto comunemente si pensa, sono invece le parole meno usate quelle più soggette a cambiare.
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Le parole di uso più comune vivranno così come sono per altri 10 mila anni. |
Che le lingue evolvano è un dato di fatto. E che molte parole si trasformino o modifichino il loro significato nel corso dei secoli è un'evidenza. Oggi però si è dimostrato che esiste una variabile legata alla velocità con cui sostantivi, aggettivi, verbi e tutte le altre parti del discorso mutano ortografia, pronuncia e addirittura significato: è la frequenza d'uso. Uno studio condotto da Mark Pagel (Università di Reading, Regno Unito) ha mostrato come l'utilizzo frequente di alcune parole - quelle che indicano concetti o oggetti comuni – tende a congelarle, impedendone l'evoluzione, mentre quelle meno usate sono quelle che hanno le maggiori probabilità di cambiare rapidamente.
Diecimila anni di parole
Per dimostrarlo il ricercatore e i suoi colleghi hanno preso a campione 200 significati in 87 lingue indoeuropee. Da un'analisi incrociata è emerso come lo stesso concetto viene talvolta espresso nelle varie lingue da parole apparentemente senza legami tra loro. Una dimostrazione, questa, dei grandi cambiamenti che hanno coinvolto le lingue indoeuropee tra 10 e 6 mila anni fa. Ma lo studio non si è concluso qui. Gli scienziati hanno analizzato anche la frequenza con cui questi concetti ricorrono nelle lingue indoeuropee prendendo a campione quattro lingue moderne: inglese, russo, spagnolo e greco.
Parole con la data di scadenza
Incrociando i risultati, i ricercatori hanno potuto dimostrare che l'enorme evoluzione delle lingue indoeuropee nel corso dei millenni ha riguardato soprattutto le parole meno usate. Le parole più usate, come i nomi dei numeri o i termini che esprimono concetti importanti e universali, sono invece rimasti pressoché invariati nel corso dei millenni in tutte le lingue indoeuropee, tanto da aver mantenuto perfino una somiglianza trasversale a lingue molto lontane tra loro. Ad esempio, il numero "due" si dice "dos" in spagnolo, "deux" in francese, "two" in inglese, "dva" in russo (tutte parole caratterizzate dai suoni /d/ oppure /t/). Allo stesso modo i termini per indicare la mamma e i concetti collegati sono caratterizzati nella stragrande maggioranza delle lingue indoeuropee dal fonema /m/ ("madre" in italiano, "mother" in inglese, "mutter" in tedesco, "mère" in francese, "moeder" in olandese, "mat'" in russo). Così, se nell'inglese del XVI secolo "dormire" si diceva "to sleep", proprio come oggi (parola d'uso corrente), il meno usato avverbio "sithen" ("da quel momento") si è evoluto diventando l'attuale "since". In base ai risultati statistici raccolti, Pagel e colleghi sono stati in grado di prevedere la durata di molte parole: secondo il ricercatore, quelle più stabili e legate a concetti immutabili, "vivranno" ancora 10 mila anni.
Verbi che non si regolarizzano
Risultati analoghi ha dato anche una ricerca americana indipendente da quella inglese. Secondo Erez Lieberman della Harvard University, infatti, la frequenza d'uso non spiega solo il mutamento delle parole, ma anche i processi che portano i verbi irregolari (cioè che non seguono regole standard nelle declinazioni) a diventare regolari oppure a mantenere una coniugazione "arcaica". Un esempio viene proprio dai verbi irregolari inglesi, quelli cioè che formano il passato e il participio passato secondo una morfologia arcaica e non semplicemente aggiungendo il suffisso "-ed". Secondo Lieberman è proprio l'elevata frequenza d'uso a mantenere forme di coniugazione arcaiche: i verbi irregolari sono quelli che indicano azioni basilari, come "andare" (to go), "venire" (to come), "dormire" (to sleep) o "mangiare" (to eat). Tutte parole usate nel linguaggio quotidiano e pertanto impermeabili ai mutamenti della lingua e ai processi di regolarizzazione.
(Notizia aggiornata il 19 ottobre 2007)