Scienze

Lavoro di squadra: così i neuroni ci aiutano a ricordare

Abbiamo impresso nella memoria il nome del nostro compagno di banco che non vediamo da vent'anni, ma scordiamo immediatamente quello di uno sconosciuto che si è appena presentato. Perché?

Una ricerca condotta dal Caltech (California Institute of Technology), pubblicata su Science, ci solleva da ogni responsabilità: non è colpa della nostra (poca) attenzione se non ricordiamo mai i nomi di chi ci viene presentato, ma dei nostri neuroni, che hanno bisogno di lavorare in gruppo per codificare al meglio i nostri ricordi.

Colpa (o merito) dei nostri neuroni, che per fissare un ricordo hanno bisogno di tempo (e di un po' di team working)

«Immaginate di dovervi ricordare una storia lunga e complicata, ricca di particolari», spiega Walter Gonzalez, coordinatore dello studio: «immaginate di poterla raccontare a cinque amici, e di ritrovarvi poi una volta ogni tanto per ricordarla tutti insieme, riempiendo l'uno i vuoti di memoria dell'altro. Ogni volta che vi incontrate, potete portare con voi nuovi amici, affinché imparino la storia e vi aiutino a ricordarla le volte successive. Ecco, i neuroni fanno la stessa cosa con i nostri ricordi: lavorano in team".

In cerca dell'acqua. I ricercatori hanno condotto vari test su topi da laboratorio: i roditori dovevano muoversi in un recinto con le pareti bianche, lungo circa un metro e mezzo, fino a trovare la loro ricompensa: acqua zuccherata (una leccornia, per i topi). Lungo il percorso erano stati posizionati vari simboli in diversi punti, per aiutare le cavie a orientarsi.

Memoria: il lavoro di squadra dei neuroni
L'attività neurale nell'ippocampo di un topo impegnato in un nuovo ambiente. I colori corrispondono a locazioni univoche (luoghi): con l'esposizione continua al nuovo spazo, il topo consolida la memoria "reclutando" gruppi di neuroni per codificare le informazioni, che appaiono ben strutturate anche dopo diversi giorni di sospensione del test. © Caltech

L'analisi dell'attività neurale si è focalizzata in particolare sui neuroni dell'ippocampo (regione del cervello dove si formano i ricordi), atti alla codificazione dei luoghi. Inizialmente, i topi apparivano indecisi sul da farsi: vagavano senza una logica fino ad arrivare all'acqua zuccherata. Solo dopo aver percorso il tragitto diverse volte iniziavano a "ricordare": riconoscevano i simboli e li utilizzavano per orientarsi.

L'unione fa la forza. Successivamente gli studiosi hanno tenuto i topi lontano dal percorso per una ventina di giorni, prima di metterli di nuovo alla prova: le cavie che avevano acquisito dei ricordi solidi, codificati da un alto numero di neuroni, hanno trovato con facilità il percorso che li portava all'acqua zuccherata. Anche se in alcuni casi certi neuroni erano danneggiati o silenti, ne subentravano altri che li "aiutavano" a ricordare. «Più un'azione viene ripetuta, più è alto il numero di neuroni che la codifica», spiega il biologo Carlos Lois: «i risultati dello studio dimostrano che aumentando il numero di neuroni impegnati nella codifica di un ricordo, questo rimane più a lungo impresso nella memoria.»

22 settembre 2019 Chiara Guzzonato
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