La macchina sbanda, un attimo di terrore, l'angoscia ha il sopravvento. Durante un incidente stradale o in qualunque altra situazione di pericolo tutto sembra accadere lentamente, come in un film al rallentatore. Ma veramente il tempo cambia ritmo, almeno per noi, quando siamo in pericolo, o è piuttosto il nostro ricordo successivo all'evento a essere alterato? Una ricerca ha spiegato che cosa accade nel nostro cervello quando il tempo scorre più lento.
Andrea Porta, 7 gennaio 2008
Chi è stato vittima di un incidente sa che nei momenti di forte stress, di paura o, più in generale, quando sentiamo di essere in pericolo la percezione del tempo sembra rallentare. Ripensando anche a situazioni giudicate banali (ma solo dopo la loro conclusione), come un testa-coda senza conseguenze su di una strada ghiacciata, ricordiamo azioni rallentate, come se il fattaccio avvenuto in un battibaleno fosse in realtà durato un'eternità.
Caduta libera cronometrata
Qual è la causa di questo rallentamento della percezione? È per davvero la nostra percezione del tempo a giocarci uno strano scherzo oppure è il ricordo dell'evento a imprimersi nella nostra memoria al rallentatore? Se lo sono chiesti i ricercatori del Baylor College of Medicine di Houston (Texas, Usa) che hanno sottoposto alcuni volontari a una serie di test: tra questi, l'improvvisa apparizione di una gigantesca vedova nera accanto alla tazza del caffè, a colazione, e una improvvisa caduta libera da un'altezza di una trentina di metri. Situazione, quest'ultima, in cui i volontari, dovevano poi cercare di riprodurre, cronometro alla mano, la durata del loro volo e quello degli altri. E la stima della durata della propria caduta era mediamente maggiore del 36% rispetto a quelle altrui. Secondo i ricercatori ciò dimostra che effettivamente vivere dall'interno una forte emozione ci porta a percepire il tempo in modo più dilatato.
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Lo scopo della ricerca era quello di capire se l'alterazione della percezione avviene già durante l'evento o se invece è una stima errata prodotta quando lo richiamiamo alla memoria. Per capirlo gli studiosi hanno messo al polso di ogni soggetto uno speciale apparecchio chiamato "cronometro della percezione": si tratta di un semplice display che mostra numeri in velocissima sequenza, leggibili solo in un ipotetico caso di percezione rallentata. Preparati a guardarlo in caduta libera, i soggetti non sono comunque stati in grado di identificare i numeri. Una chiara dimostrazione, secondo i ricercatori, del fatto che durante gli eventi stressanti, contrariamente a quanto pensiamo, non viviamo in slow motion.
I ricordi misurano il tempo che passa
I risultati dei test hanno quindi spostato l'attenzione dei ricercatori sulla memoria: «La capacità di stimare il trascorrere del tempo e la memoria», afferma David Eagleman, coordinatore della ricerca, «sono strettamente correlate». Nel cervello, durante un evento stressante, l'amigdala (area del cervello anatomicamente assegnata al lobo temporale, al di sotto dei lobi frontali) aumenta la propria attività producendo un secondo gruppo di ricordi che si aggiunge a quelli normalmente depositati da altre aree del cervello. In questo modo agli eventi più stressanti sono associati ricordi più complessi e "densi" che contribuiscono a una percezione più articolata del tempo, che così ci sembra durare di più. Secondo i neurologi è lo stesso motivo per cui eventi accaduti durante l'infanzia sembrano durare più a lungo di quanto non sia realmente successo: da piccoli infatti raccogliamo più ricordi perché tutto ci appare nuovo, mentre invecchiando tendiamo a memorizzare meno particolari, e a percepire quindi il tempo come più veloce.