La città della scienza sta andando alla deriva tra i ghiacci, all’altezza dell’85° parallelo Nord, nel buio della notte polare: ormai, il sole non sorge più sopra l'orizzonte. Ha già ricevuto i primi visitatori: gli orsi polari, che si sono spinti a curiosare fin qui. Gli scienziati li hanno visti dalla nave, in sicurezza. Poi, come previsto dalle procedure, i visitatori pelosi – tanto affascinanti quanto pericolosi – sono stati allontanati con l’uso di razzi di segnalazione.
È l’inizio dell’avventura scientifica della Polastern, nave rompighiaccio tedesca che resterà fino al prossimo autunno bloccata nella banchisa, ancorata alla grande lastra di ghiaccio che è stata selezionata nelle scorse settimane.
Sarà la più grande spedizione scientifica nell'Artico: la missione MOSAiC (Multidisciplinary drifting Observatory for the Study of Arctic Climate) partita il 20 settembre scorso da Tromsø, come vi abbiamo raccontato su Focus.it e sul numero 325 di Focus, con un ampio reportage sulla missione, sulla nave e sull'equipaggio.
Le molte ricerche che verranno svolte dagli scienziati, al lavoro tra i laboratori a bordo della Polarstern e la stazione scientifica galleggiante che è sorta sulla lastra di ghiaccio attorno ad essa, meritano però un ultieriore approfondimento. Che risposte potranno darci? E che cosa potranno dirci su come sta reagendo quest’area al riscaldamento globale? Lo abbiamo chiesto ad alcuni tra i protagonisti della spedizione.
IL RUOLO DELLE NUBI: PARASOLE O… COPERTA? Molte misurazioni effettuate dagli scienziati della spedizione MOSAiC saranno relative all’atmosfera, esaminata dai livelli più bassi fino alla stratosfera. Saranno fondamentali per capire meglio gli effetti del cambiamento climatico, che da nessuna altra parte sulla Terra sono così massicci ed evidenti come nell’Artico. Basti pensare che quest’anno, a settembre, l’estensione dei ghiacci alla fine dell’estate ha raggiunto uno dei minimi da quando la osserviamo con i satelliti (il crollo record è stato nel 2012), arrivando a 4,15 milioni di km quadrati.
I ricercatori studieranno molte cose: dalle nubi agli scambi di energia tra oceano e atmosfera. «Analizzare in dettaglio i meccanismi legati alle nubi, e come stanno cambiando, sarà essenziale per sviluppare modelli climatici più accurati», ci racconta Matthew Shupe, della University of Colorado e del Noaa Earth System Research Laboratory (Usa), uno degli organizzatori della spedizione MOSAiC. «Consideriamo che la copertura nuvolosa ha due effetti in “competizione” tra loro: da una parte in estate raffredda la superficie, perché scherma la radiazione solare, dall’altra in inverno la riscalda intrappolando il calore, un po’ come una coperta.
E questo secondo effetto, di riscaldamento, è complessivamente dominante nell’Artico, al contrario di quello che accade per l’intero pianeta. Noi vogliamo capire meglio questo bilancio, nelle diverse stagioni».
UN RADAR VERSO LE NUVOLE. Per le analisi, si useranno palloni sonda lasciati andare verso l’alto, palloni frenati, droni, ma anche strumenti come i radar. Un radar pensato in particolare per lo studio delle nubi è stato installato sul ponte della Polarstern. «L’analisi di come le onde (in questo caso, si usano microonde) emesse dal radar vengono riflesse dalle nubi ci dà molte informazioni su di esse: ci dà una sorta di immagine 3D delle nubi e ci dice qual è la loro composizione, quali tipi di particelle ci sono», ci spiega Joseph Hardin del Pacific Northwest National Laboratory (Usa), del team che ha installato il radar sulla nave.
Le attrezzature serviranno allo studio di moltissimi fenomeni. «Per esempio, io sono particolarmente interessato a un tipo di nuvole presenti nell’Artico: sono le nubi a fase mista, in cui si trovano acqua e ghiaccio, allo stesso tempo. Detto in modo semplice, ciò accade perché l’Artico è molto pulito: nell’atmosfera ci sono poche particelle, che sono quelle attorno a cui il ghiaccio si forma, e questo fa sì che l’acqua resti allo stato liquido anche a temperature ben sotto il punto di congelamento», chiarisce Shupe.
Il ruolo di queste nuvole è uno dei molti fattori che entrano in gioco plasmando il sistema dell’Artico, dove aria, ghiaccio e acqua si sfiorano e influenzano a vicenda. Per esempio, le nubi a fase mista producono neve, e la neve che cade sulla banchisa forma una sorta di coperta isolante. Il risultato è che il ghiaccio è isolato dalla gelida aria sovrastante, e questo evita che diventi più spesso con il congelamento di acqua dell’oceano.
CREPE NEL PAVIMENTO (GLACIALE). Un altro importante campo di ricerca saranno gli scambi di energia tra l’oceano e l’atmosfera, separati solo da una sottile crosta di ghiaccio. Pensiamo che l’aria può essere a -45 °C, mentre l’oceano è molto più caldo, essendo poco sotto lo zero (la sua acqua, salata, congela a -1,8 °C). In pratica, per l’atmosfera dell’Artico, è come avere un riscaldamento sotto il pavimento. Il punto è che ogni tanto questo pavimento si spacca: nel ghiaccio, che è in costante movimento, si aprono fessure, e questi canali d’acqua permettono che calore e umidità “scappino” verso l’atmosfera.
Uno degli obiettivi degli scienziati a bordo della Polarstern sarà capire meglio questo effetto – complessivamente notevole benché le singole crepe possano essere piccole – e integrarlo nei modelli climatici.
Peraltro, c’è il rischio che quel pavimento di ghiaccio si rompa sotto i piedi degli scienziati che stanno camminando e lavorando su di esso. «Sì, ma per fortuna le fessure non si aprono all’improvviso: possiamo notare quando iniziano a formarsi», dice con nonchalance Matthew Shupe, che qualche giorno fa lo ha sperimentato in diretta, quando una crepa si è aperta dove stava installando le attrezzature, annunciata da un rumore secco e dal tremolio del suolo.
VISIONI SOTTOMARINE. E naturalmente il ghiaccio sarà un oggetto di studio. «È, appunto, una sottile separazione tra oceano e atmosfera, che quindi limita gli scambi tra le due masse. Pensiamo per esempio al fatto che, se non c'è ghiaccio, tutta l'energia del sole arriva direttamente al mare, senza che sia riflessa», ci spiega Christian Katlein, dell’Istituto Alfred Wegener per la ricerca marina e polare, l'organismo tedesco che organizza la spedizione. Le rilevazioni saranno molte.
«Osserveremo per esempio la superficie inferiore della nostra lastra di ghiaccio, usando un Rov, un robot teleguidato, che farà una sorta di scansione. Inoltre, benché la nave sia ancorata a una lastra già formata e spessa, si formerà nuovo ghiaccio, che potremo studiare: questo ghiaccio “giovane”, più sottile, è sempre più diffuso nell'Artico», aggiunge Katlein. Non solo: si analizzeranno la neve e, quando arriverà l'estate, le pozze d'acqua create dalla sua fusione, che si formano sulla banchisa.
UN’AMAZZONIA OCEANICA. Per estrema che sia, l’area coperta di ghiaccio attorno al Polo Nord brulica poi di vita, microscopica e non. E con la spedizione MOSAiC i ricercatori hanno un’opportunità unica di studiarla. «Io per esempio mi occupo in particolare di zooplancton: l’insieme di quei piccoli animali trasportati dalle correnti. Abbiamo pochissime informazioni sulla loro vita nell’Artico centrale, in inverno. E ora vogliamo capire come vivono nelle diverse stagioni, che cosa mangiano, quanti ce ne sono. E mi aspetto di scoprire nuove specie», ci racconta Carin Ashjian della Woods Hole Oceanographic Institution (Usa), che arriverà tra qualche mese sulla Polarstern per il suo “turno” di ricerca. «Useremo, per esempio, il Rov per prendere pesci e altre creature».
Ma sarà importante anche lo studio del fitoplancton, l’insieme di alghe microscopiche e batteri in grado di fare fotosintesi, che è alla base della catena alimentare.
E non solo. «Il fitoplancton è come l’Amazzonia: cattura anidride carbonica e produce ossigeno», dice Ashjian. «Quindi è importante studiare come sta reagendo a un Artico più caldo e con meno copertura glaciale».
PRESI ALL’AMO. Tutti gli organismi saranno studiati: grandi o piccolissimi, viventi dentro o sotto il ghiaccio, o ancora nelle acque sottostanti. «Preleveremo campioni di acqua, a diversa profondità, e ghiaccio: ci daranno materiale per le future analisi», specifica Pauline Snoeijs-Leijonmalm, dell’università di Stoccolma. «Per esempio analizzeremo il Dna della comunità microbica, per capire quali specie ne fanno parte, e vedremo anche quali geni sono espressi in un dato momento: così possiamo capire che cosa i microbi stanno facendo. Scopriremo molto sui processi che hanno luogo in inverno, nell’oscurità».
Peraltro, anche tirare su campioni di acqua dal mare non è affatto banale, alle temperature proibitive a cui lavorano gli scienziati. «Lì gela tutto, un foro nel ghiaccio si chiude. Ma bisogna mantenere il passaggio aperto, per calare e riportare su il contenitore che raccoglie l’acqua alla profondità desiderata. Così abbiamo dovuto mettere a punto un sistema di riscaldamento che tenga aperto il passaggio», spiega Rolf Gradinger, dell’Università Artica della Norvegia a Tromsø, uno degli scienziati che hanno contribuito a trovare la soluzione ai molti problemi tecnici di queste “ricerche estreme”.
Un altro progetto è legato ai pesci. «Non sappiamo esattamente quali specie vivono, in tutta la colonna d’acqua, nella zona dell’Artico centrale, che è più grande del Mediterraneo e comprende bacini profondi fuori dalle acque dei Paesi costieri», specifica Pauline Snoeijs-Leijonmalm. «Per questo useremo lunghe lenze con centinaia di ami, o reti: una volta pescati gli esemplari, vedremo per esempio che cosa mangiano o quali sono le loro migrazioni».
E naturalmente si studierà anche l'oceano: per esempio, ci si concentrerà sull'analisi delle correnti , che possono trasportare acque più calde o ricche di nutrienti attraverso l'Artico.
C’E QUALCOSA NELL’ARIA. Nell’Oceano Artico, lo scambio costante tra acqua e atmosfera riguarda anche molti gas, in entrambe le direzioni. Anche capire come questi passaggi avvengano servirà a creare modelli climatici più precisi. Tra i sorvegliati speciali dei ricercatori c’è per esempio un potente gas serra, il metano. Con il riscaldamento globale, quantità sempre maggiori potrebbero essere rilasciate dal permafrost, il suolo perennemente ghiacciato che si trova in Siberia.
«Nel laboratorio a bordo, misuriamo appunto gas come metano o anidride carbonica, per capire i loro naturali flussi nell’ambiente dell’Artico, nell’interazione tra oceano e atmosfera», spiega Ellen Damm, dell’Istituto Alfred Wegener per la ricerca marina e polare, che abbiamo incontrato mentre stava finendo di mettere a punto il laboratorio di chimica sulla Polarstern.
In questi scambi entrano in gioco anche gli esseri viventi.
Per esempio, le alghe producono un composto chimico (Dmsp, dimetil-sulfonio-propionato) che viene trasformato dall’azione dei batteri in solfuro di metile, rilasciato nell’atmosfera. Lì, questa sostanza favorisce l’aggregazione del vapore acqueo in goccioline: in pratica, favorisce la formazione delle nubi (del cui ruolo abbiamo parlato). I ricercatori vogliono capire come il ghiaccio – e la sua diminuzione – influenza questo ciclo.