Corre quest'anno il cinquantesimo anniversario della scoperta dell'Uomo di Tautavel. Con i suoi 450 mila anni di età è forse il più famoso rappresentante di una antica "umanità di mezzo", posteriore cioè all'africano Homo ergaster e antecedente sia all'uomo di Neanterthal che a noi Homo sapiens. I reperti di cui disponiamo provengono tutti dalla grotta dell'Arago, a 3 km dall'odierno abitato di Tautavel, nei Pirenei Orientali, in Francia. Questa forma umana, la più antica ritrovata in territorio francese, passò indenne un paio di glaciazioni, adattandosi anche a condizioni estreme, vedendo cose che noi oggi possiamo immaginare con una certa fedeltà grazie a mezzo secolo di ricerche e alle ricostruzioni di un museo sorto sul luogo.
Testa pensante. Il reperto più famoso di ciò che è stato denominato Uomo di Tautavel è la parte anteriore di un cranio, scoperto il 22 luglio del 1971 dai paleontologi Henry e Marie-Antoinette de Lumley, che lo etichettarono Arago 21, mentre una seconda parte del cranio fu trovata 8 anni dopo. Le analisi chiarirono che Arago 21 era un giovane maschio morto a circa 20 anni. Le ricerche nei 15 livelli stratigrafici della grotta portarono negli anni al ritrovamento di 151 fossili umani, fra mandibole, altri crani e parti dello scheletro appartenuti a 30 individui (un dente di 560 mila anni ha portato ancora più indietro la presenza sul luogo dell'antenato).
Si è potuto così stabilire che l'Uomo di Tautavel era in media alto 165 cm, costituzione robusta (peso 45-55 chili), viso proiettato in avanti, mento quasi assente, rilievo marcato sopra le orbite, fronte sfuggente, testa un po' piatta che conteneva però un cervello di 1.150 cm cubi, cioè compreso nel range dell'uomo moderno (che va da 1.130 a 1.350 cm cubi). A che cosa serviva ai tempi un cervello già così sviluppato? A costruire, per esempio, strumenti di pietra del tipo acheuleano, cioè bifacciali (una faccia uguale all'altra), che ci dicono che padroneggiava il concetto di simmetria e aveva quindi una capacità di pensiero astratto, immaginando prima il tipo di utensile da ricavare quando si apprestava a scheggiare un ciottolo di quarzo.
Cosa ancora più evidente se usava il modo Tayaziano (dalla località francese della Dordogna in cui fu per la prima volta descritto). Il metodo era innovativo per i tempi: l'Uomo di Tautavel stabiliva in anticipo la forma da ottenere con alcune scheggiature per rendere convesso il blocco di pietra e delineare i margini taglienti.
Poi, con una singola percussione, staccava l'oggetto della forma progettata, pronto per l'uso.
Caccia cooperativa. In secondo luogo, l'Uomo di Tautavel aveva la capacità di abbattere grandi prede, come il bue muschiato, il rinoceronte e il bisonte, cosa che poteva fare solo cacciando in modo organizzato e con una forma di comunicazione efficiente. In terzo luogo, il suo cervello doveva già avere una specializzazione laterale favorevole al linguaggio parlato. Infine, basta salire sul monte dove scelse la caverna (dell'Arago) come riparo, per capire che aveva l'esigenza di controllare l'ambiente e programmare le sue azioni: dall'alto del monte dove si apriva a strapiombo la caverna, aveva una visione completa sulla valle. Poteva sorvegliare la situazione e individuare le mandrie di animali, scegliere il momento migliore per scendere a valle e iniziare la caccia organizzata.
Il fatto che nella caverna dell'Arago siano state trovate ossa di animali mischiate a utensili di pietra, che servirono a macellare la carne, indica che "quarti" degli animali uccisi venivano portati alla base per essere divisi nel gruppo, alla maniera dei cacciatori raccoglitori odierni. Quindi il grande cervello dell'uomo di Tautavel doveva servire anche all'intelligenza sociale.
Civiltà dell'osso. Altre informazioni su di lui le possiamo desumere dai suoi contemporanei presenti in altre aree geografiche europee. «L'uomo di Tautavel era infatti della specie Homo heidelbergensis», spiega Fabio Di Vincenzo, dell'Università La Sapienza di Roma: «a questa specie appartengono la mandibola di Mauer (Germania), i resti fossili trovati a Petralona (Grecia), Sima de los Huesos presso Atapuerca (Spagna), Boxgrove (Inghilterra), Schöningen (Germania). Nelle diverse variazioni geografiche, durò tantissimo, circa 500 mila anni.»
Anche in Italia l'Heidelbergensis ha lasciato tracce consistenti. Per esempio a Fontana Ranuccio, presso Anagni, in Lazio. «Qui, 400 mila anni fa», spiega Stefano Grimaldi, dell'Università di Trento e responsabile degli scavi a Fontana Ranuccio, «gli Heidelbergensis erano abili nella caccia ai grandi pachidermi e realizzavano gli utensili bifacciali in osso di elefante. Questo non perché mancassero in zona pietre adatte alla scheggiatura, ma come carattere distintivo culturale, che potremmo definire anche tribale.»
Dalle parole ai fatti. L'esistenza di un linguaggio parlato fra gli Heidelbergensis viene ritenuto molto probabile da studi sui reperti spagnoli della Sima de los Huesos. Le striature dei loro denti mostrano un uso destrorso delle mani, segno di lateralizzazione del cervello per ospitare le aree della corteccia che presiedono al linguaggio.
Un altro studio, sull'orecchio esterno, indica che potevano percepire tutte le frequenze del linguaggio parlato. Ma le innovazioni degli Heidelbergensis non finiscono qui: furono i primi a usare sistematicamente il fuoco, il cui impiego è comprovato a partire da 790 mila fa a Gesher Benot Ya-aquov, in Israele. Oltre ad "allungare il giorno" favorendo la comunicazione verbale intorno al focolare, rese il cibo più assimilabile con la cottura, in un circolo virtuoso con lo sviluppo del cervello che nello stadio umano richiede un grande dispendio di energia.
Gli Heidelbergensis risultano anche i primi ad avere utilizzato la lancia, come dimostra il ritrovamento a Schöningen di bastoni lunghi due metri e bene appuntiti. Più che scagliati, venivano spinti nel corpo delle grandi prede restando comunque a una distanza tale da evitare contatto fisico - e tuttavia le numerose fratture ossee riscontrate sui reperti rivelano frequenti incidenti di caccia. L'Heidelbergensis è anche il costruttore delle prime capanne con telaio di legno di cui si ha conoscenza: a Terra Amata, in Francia, 300 mila anni fa, ne costruì alcune lunghe 14 metri.
Antenato comune. Anche l'aspetto simbolico che accompagnava la morte sembra già in qualche modo presente in questa "umanità di mezzo": a Sima de los Huesos i resti di 28 individui sono stati ritrovati in un pozzo, deceduti per morte naturale, come se fossero stati gettati, in tempi diversi, in una tomba collettiva. È stato ritrovato nel pozzo un solo strumento: un bifacciale di quarzite rosa ben ritoccato e mai utilizzato, presente fra i corpi forse come offerta funebre.
La morfologia delle ossa indica che i 28 individui presentavano, già 430 mila anni fa, caratteristiche che preannunciavano l'evoluzione degli Heidelbergensis europei in Neanderthal, ma da dove erano arrivati gli Heidelbergensis?
Come più tardi noi Sapiens, anche loro dall'Africa: lo dimostrano una serie di loro mandibole di 800 mila anni ritrovate a Tighennif, nel nord dell'Algeria. Il ceppo africano di Heidelbergensis che ha dato invece origine a noi Homo sapiens 200 mila anni fa è rappresentato dai fossili di Bodo, di 600 mila anni, ritrovati nella valle dell'Awash, in Etiopia, o del lago Ndutu, in Tanzania, di circa 500 mila anni. Ed era presente in Marocco, preannunciando la sua trasformazione in Homo sapiens, a Jebel Irhoud, 315 mila anni or sono.