Un antenato comune, due linee evolutive diverse: neandertal e sapiens. I primi sono "scomparsi": hanno lasciato resti fossili in tre continenti, ma nulla che abbia permesso di dare una spiegazione definitiva al perché della scomparsa. I secondi siamo noi: più intelligenti, più creativi... o almeno così abbiamo sempre pensato. Ma oggi nuove teorie mettono in dubbio la presunta inferiorità del neandertal.
Stereolitografia del cranio e della mandibola di un neandertal adulto (vedi nota a fondo pagina). |
Terry Hopkinson, archeologo dell'Università del Leichester, propone un nuovo punto di vista sull'Homo neanderthalensis, che appartiene a una linea evolutiva diversa da quella del Sapiens, da cui invece noi discendiamo, e la cui scomparsa (25-30.000 anni fa) è ancora un enigma con ipotesi diverse e non conclusive. Secondo Hopkins dobbiamo rivedere l'immagine che abbiamo dei neandertal: nuovi studi su reperti e siti archeologici sembrano infatti suggerire che fosse capace di migliorare in modo significativo i suoi strumenti (la sua "tecnologia") e, soprattutto,
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Quanto è "umano"?
Se la comunità scientifica confermerà le ipotesi di Hopkins sulla specie che ha popolato l'Africa, l'Asia e l'Europa prima di noi, forse dovremo rivedere il concetto stesso di umanità. «L'idea più diffusa è che il "pensiero moderno" sia nato solo 50.000 anni fa», dichiara l'archeologo, «ma molti di quei tratti che noi definiamo moderni, come l'uso di strumenti in pietra e di tecniche di caccia elaborate, hanno iniziato a svilupparsi almeno 300.000 anni fa in Africa, quando era abitata dai neandertal». Il nostro predecessore avrebbe perciò il merito di aver saputo trasformare pietre in strumenti efficaci e di aver conquistato nuovi territori. «Si è soliti credere che l'innovazione è stata una prerogativa dell'Homo sapiens. Adesso sarà difficile continuare a escludere i neandertal dal nostro concetto di umanità», conclude Hopkinson.
Foto: la stereolitografia permette di realizzare oggetti tridimensionali a partire dai dati digitali elaborati da un software. In questo caso la digitalizzazione dei reperti e il loro assemblaggio software è stato curato dall'Istuituto di antropologia dell'Università di Zurigo: sul sito dell'Istituto si trovano dettagli e immagini del lavoro di ricostruzione antropologica.
(Notizia aggiornata al 21 giugno 2007)