Scienze

La storia della scopritrice delle pulsar: derubata del Nobel nel 1974 e ricompensata molti anni dopo...

L'astrofisica britannica Jocelyn Bell Burnel per molti "derubata" del Nobel nel 1974 si è battuta per decenni per l'inclusione nel mondo scientifico delle categorie meno rappresentate. Questa è la sua storia di genio e perseveranza.

Nel 2018 l'astrofisica britannica Jocelyn Bell Burnell ricevette lo Speciale Breakthrough prize per la Fisica Fondamentale, il più ricco riconoscimento per la ricerca scientifica (vale 3 milioni di dollari, oltre 2,5 milioni di euro). Questo accadeva 51 anni dopo la scoperta della pulsar, scoperta per la quale a detta di molti scienziati Burnell avrebbe meritato il premio Nobel che, nel 1974, fu assegnato al solo Antony Hewish.

L'astrofisica è stata premiata per i suoi meriti scientifici ma anche per essersi incessantemente battuta, in questi decenni, contro le discriminazioni in ambito accademico che per prima aveva subito. La stessa causa nella quale, in sede di premiazione, ha dichiarato di voler investire il denaro ricevuto.

Strada in salita. Nata in Irlanda del Nord nel 1943, prima della laurea in Fisica all'Università di Glasgow Bell Burnell dovette vedersela con un sistema scolastico che scoraggiava le ragazze dallo studio delle materie scientifiche: per esempio, esigendo voti di ammissione più alti rispetto a quelli richiesti ai ragazzi.

Approdata a Cambridge per un dottorato sotto la supervisione del radioastronomo britannico Anthony Hewish fu colta - racconta - dalla sindrome dell'impostore, la convinzione di non meritare il posto così faticosamente raggiunto. Promise a se stessa che si sarebbe impegnata al massimo, e dedicò tutte le energie possibili prima nella costruzione di un nuovo radiotelescopio - il Mullard Radio Astronomy Observatory, terminato nel 1967 - poi allo studio di eventuali anomalie nei dati con esso rilevati.

Una pulsar è racchiusa nel cuore della Nebulosa del Granchio, e anzi è la principale responsabile della sua formazione. © NASA/Hubble

Emissioni regolari. Le trovò: in poche settimane, un segnale anomalo che occupava appena 5 millimetri ogni 500 metri delle tabelle cartacee da scorrere a mano attirò la sua attenzione. L'oscillazione compariva e scompariva a intervalli regolari di 1,34 secondi, proveniva sempre dalla stessa regione di cosmo e sembrava spostarsi nella volta celeste alla stessa velocità delle altre stelle.

Dopo aver escluso il segnale che fosse causato da interferenze umane - l'ipotesi preferita da Hewish - o che si trattasse del messaggio di una fantomatica civiltà aliena, Bell Burnell ne individuò altri tre con periodicità diverse e in tre differenti regioni di cielo: si trattava di stelle, dunque, che chiamò pulsar (abbandonando definitivamente l'acronimo ironico di LGM: Little Green Men, piccoli omini verdi).

Una scoperta rivoluzionaria. Oggi sappiamo che le pulsar sono stelle di neutroni a rapida rotazione che concentrano in dimensioni ridotte (anche poche decine di km) una massa pari o superiore a quella del Sole. Roteando rilasciano fasci di radiazione elettromagnetica a intervalli regolari, e questa caratteristica è sfruttabile in molte applicazioni in campo astronomico.

Per esempio le loro "pulsazioni" possono essere usate per orientare sonde robotiche, attraverso un sistema di triangolazione, ed eventuali ritardi nei loro coni di radiazione possono essere studiati per confermare il passaggio di onde gravitazionali.

Jocelyn Bell nel 1968 davanti al Mullard Observatory (Cambridge). © DAILY HERALD ARCHIVE/SSPL/GETTY

Dimenticata. La scoperta fu così importante da meritare un Nobel per la Fisica nel 1974. Non fu però Bell Burnell, a riceverlo: andò congiuntamente ad Hewish e a un altro radioastronomo britannico, Martin Ryle. L'esclusione suscitò indignazione in gran parte della comunità accademica, ma la scienziata non sembrò prendersela: sapeva - spiega - che il Nobel non viene assegnato ai dottorandi.

«Sento di averci guadagnato, a non aver preso un Nobel - dice - se vinci un Nobel passi una settimana fantastica e poi nessuno di premia con nient'altro. Se non lo vinci, vinci qualunque altra cosa. Praticamente ogni anno c'è stato qualche festeggiamento per un premio che ho vinto. È stato molto più divertente».

Onore al merito. I riconoscimenti sono arrivati dopo una lunga parentesi trascorsa da Bell Burnell fuori dal mondo della ricerca, per seguire un marito dal lavoro itinerante. Quel periodo così frustrante per la discontinuità lavorativa le diede però l'occasione di cimentarsi in ruoli diversi da quelli classici dell'accademia.

Nel 1993, divorziata e con un figlio ormai grande, tornò alla sua professione, e passione originaria. Divenne capo dipartimento alla facoltà di fisica della Open University, un'istituzione di studio e ricerca rivolta a studenti part-time e a distanza. Poi, Presidente della Royal Astronomical Society, nonché prima donna a dirigere la Royal Society of Edinburgh e l'Institute of Physics del Regno Unito. Lo Special Breakthrough Prize nella Fisica Fondamentale appena arrivato è stato assegnato solo quattro volte: prima di Bell, lo hanno meritato Stephen Hawking, gli scienziati del CERN e quelli della collaborazione LIGO.

Bell, che attualmente insegna all'Università di Oxford, ha contribuito alla fondazione dell'Athena Swan programme, per migliorare l'inclusione delle donne nel mondo universitario, dove ha investito il denaro del premio, finanziando borse di dottorato per le persone meno rappresentate in ambito accademico: «Io ero in minoranza ed ero una dottoranda. Migliorare la diversità nella fisica può portare molte cose positive».

7 settembre 2018 Elisabetta Intini
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