Morse, Stephenson, Galilei, Marconi: il solo pronunciare questi nomi evoca un'aura di rispetto reverenziale. Un tempo gli inventori erano considerati eroi. Con le loro scoperte, hanno contribuito a guidare l'umanità verso un rapido progresso nelle scienze, nelle comunicazioni, nei trasporti e nella aspettiva di vita.
Oggi la loro presenza sembra essersi diradata, confinata per lo più agli exploit di qualche eccentrico milionario. Che i veri inventori siano scomparsi?
Uno studio dell'Università di Oxford appena pubblicato sul Journal of the Royal Society Interface ha cercato di rispondere, dati alla mano, a questa domanda.
Che cosa è cambiato. Secondo lo studio di Youn Hyejin e colleghi non è il numero di brevetti ad essere calato, ma la forza innovativa delle invenzioni proposte. Se è vero - per chiarirci, che Internet ci ha cambiato la vita - le ferrovie, il telegrafo, la fotografia, l'automobile hanno promosso trasformazioni sociali del tutto inaspettate prima della loro introduzione.
Due vie. Per i ricercatori le invenzioni possono seguire due strade: la ricombinazione, o la scoperta. La prima consiste nell'idea - non meno geniale - di assemblare tecnologie già esistenti in un modo mai tentato prima. La lampadina a incandescenza di Thomas Edison, che combina un filamento riscaldato, un'ampolla di vetro e un gas inerte, è un esempio di questa prima categoria.
Il transistor di William Shockley, che arrivò solo 70 anni dopo, si basava invece su una serie di studi fisici completamente nuovi: una scoperta vera e propria, in base a questa classificazione.
UN VASTO ARCHIVIO. Per capire quali dei due trend sia stato prevalente negli ultimi secoli, Hyejin ha esaminato i dati dello United States Patent and Trademark Office (USPTO), l'ufficio brevetti degli Stati Uniti, uno dei più importanti e completi al mondo. La carica innovatrice delle invenzioni qui catalogate è ben deducibile dal loro sistema di codifica.
Classi e sottoclassi. Ogni elemento qui schedato è identificato da una classe, che distingue una tecnologia dall'altra (per esempio: 136, batterie termoelettriche e fotoelettriche); e da una sottoclasse, che delinea le caratteristiche strutturali e tecnologiche dell'idea (per esempio: sottoclasse 236, energia solare).
Questi numeri, uniti in un'unica stringa, formano un codice; l'ufficio tiene traccia di 160 mila codici che distinguono invenzioni dal 1790 ad oggi. Finora sono state create 474 classi: soltanto se dovesse arrivare un brevetto non descrivibile con alcuna di esse, se ne creerebbe una nuova.
Dove si esaurisce la spinta. Le analisi di Hyejin rivelano che quasi la metà dei brevetti rilasciati nel 19esimo secolo sono identificati soltanto da un codice.
Questo fino al 1870 circa (più o meno l'epoca della lampadina di Edison). Da quel momento in poi, mentre il numero dei brevetti tende a salire esponenzialmente, il numero di nuovi codici subisce una brusca frenata. Il 90% dei brevetti odierni è indicato da almeno due codici: si tratta, in pratica, di (ingegnose) ricombinazioni di tecnologie già esistenti.
Che cosa resta da inventare? Per la prima volta sono stati dimostrati scientificamente i sospetti già sollevati dal senso comune. Ma, fortunatamente per gli amanti delle nuove scoperte, non tutto è perduto. Le invenzioni del passato sono state dominate dalla chimica e dalla fisica.
Molto ci si aspetta, oggi, dal campo delle biotecnologie, in cui si sta sperimentando un deciso progresso da tempi relativamente recenti. Senza menzionare le neuroscienze, e il vasto campo della ricerca spaziale. Ce ne è forse abbastanza per riempire interi quaderni di nuovi codici.