L'invecchiamento sembra un fatto inevitabile della vita, almeno della nostra, e tuttavia questa catastrofe globale delle nostre cellule (che gli scienziati chiamano senescenza) non ha impedito all'umanità intera di inseguire da sempre il sogno dell'immortalità. Ecco il perché dei miti della fontana dell'eterna giovinezza o dell'elisir di lunga vita, ma anche e soprattutto ecco il perché dei guadagni stratosferici delle aziende che vendono "creme rigeneranti" o di quelle che promettono di mantenere i morti o parti di essi a temperature bassissime, in attesa che la scienza trovi un rimedio alle cause del loro decesso.
Acque miracolose, cremine, superfreddo... finora tutto è stato vano. Come se non bastasse, adesso una impietosa dimostrazione matematica spiega perché tutto ciò è impossibile.
L'evoluzione ha già detto no. I biologi evoluzionisti hanno iniziato a spegnere le speranze di una vita eterna (su questa Terra, almeno) con due principi scientifici fondamentali: l'ombra della selezione e le differenze nell'azione dei geni in gioventù e in vecchiaia.
La premessa di tutto il discorso è sorprendentemente semplice:
lo scopo ultimo dell'evoluzione è selezionare individui che si riproducono meglio di altri: che lasciano cioè più discendenti.
L'ombra della selezione identifica la fase in cui la selezione naturale non agisce più sulle mutazioni che insorgono in età avanzata, quando gli individui si sono riprodotti. Anche se le naturali mutazioni del Dna sono negative, infatti, non influiscono sulla prole dell'individuo, già nata: perciò non sono più "oggetto di interesse" della selezione naturale e non vengono bloccate.
Le azioni differenti dei geni in diverse età della vita è un fenomeno definito pleiotropia antagonista: ciò che avviene è che se alcuni dei geni presenti hanno un'azione positiva in gioventù (e quindi aumentano il successo riproduttivo) la selezione naturale tende a mantenerli.
Se poi questi stessi geni hanno un'azione negativa in vecchiaia... peggio per gli anziani, che si ritrovano con pezzi di DNA dall'azione contrastante.
La matematica della morte. Queste erano le premesse, a cui si aggiunge una dimostrazione matematica elaborata da due studiosi del dipartimento di ecologia e biologia evolutiva dell'Università dell'Arizona. I ricercatori fanno notare che negli organismi multicellulari le cellule devono cooperare per mantenere in vita l'intero organismo: nel fare questo alcune cellule potrebbero anche essere eliminate perché non si riproducono più, non riescono a riparare eventuali danni e perciò non sono più funzionali.
Tra quelle che invece si riproducono ce ne sono alcune che, in base a mutazioni che accadono sempre quando le cellule si dividono, non "fanno parte" di questa cooperazione: si moltiplicano senza controllo e possono diventare cancerose.
Costruendo un modello matematico delle popolazioni cellulari, i due studiosi hanno dimostrato che, prima o poi, le cellule vanno incontro a una delle due tristi sorti: mancanza di funzionalità oppure crescita incontrollata. Le prime muoiono perché invecchiano, le seconde fanno morire il corpo di tumori o altre malattie. Risultato: le equazioni dimostrano che per organismi multicellulari, come siamo noi, la morte è inevitabile.