Scienze

Ingegneria genetica: le chimere d'Oriente

Ibridazione uomo-animale: in Cina le ricerche proseguono a ritmo sostenuto e il Giappone autorizza i primi esperimenti. Che cosa sono le chimere? A che cosa servono?

Nella mitologia greca, la chimera era un mostro ibrido, formato da parti di differenti animali (capra, leone e serpente) mischiate insieme a creare un'entità nuova. Per i genetisti del 2019, invece, la chimera è qualcosa di ancora più incredibile - e controverso: il termine indica infatti organismi animali nei quali sono state trapiantate cellule umane.

È una pratica tecnicamente possibile ma fortemente scoraggiata in quasi tutto il mondo: c'è una sorta di freno etico che ha finora bloccato la ricerca in questo ambito quasi ovunque, ma che in alcuni Paesi si va sempre più allentando. Il governo giapponese, per esempio, ha concesso per la prima volta a un gruppo di ricercatori l'autorizzazione a portare avanti esperimenti di ibridazione uomo-animale, dopo aver cancellato (lo scorso marzo) la legge che vietava di crescere embrioni ibridi oltre il 14esimo giorno di vita. Un altro esperimento in questo ambito è stato condotto in Cina da un team misto ispano-americano, che ha prodotto un ibrido uomo-scimmia.

Parliamo di chimere. Le suggestioni dell'ibrido uomo-animale rischiano di farci pensare a laboratori sotterranei nei quali si aggirano inquietanti creature con corpo da macaco e testa da essere umano. Ovviamente non è così. Il team del giapponese Hiromitsu Nakauchi, per esempio, lavora all'inserimento di cellule umane dentro a embrioni di topo che vengono poi impiantati una madre surrogata che, se possibile, porterà a termine la gravidanza. In questo caso parliamo di cellule staminali pluripotenti indotte (iPS), ossia cellule embrionali che sono programmate per diventare, con lo sviluppo, qualsiasi tipo di cellula. L'esperimento di Nakauchi prevede la modifica di un embrione di topo al quale verranno tolti i geni necessari alla produzione del pancreas, poi l'impianto di iPS umane nello stesso embrione. Se tutto dovesse andare come previsto, il topo che nascerà sarà un topo con un pancreas umano.

A che cosa serve? L'obiettivo non è invadere il mondo con un esercito di topi dal pancreas umano: l'idea è piuttosto quella di usare i topi come primo test per affinare la tecnica, e poi passare ad animali più geneticamente compatibili con l'essere umano (per esempio una scimmia), oppure con organi di dimensioni simili alle nostre (per esempio un maiale). A quel punto (ancora molto lontano) avremmo a disposizione un serbatoio immenso di organi umani cresciuti dentro ad animali da allevamento e pronti per il trapianto: una soluzione alla crisi sanitaria che va avanti dalla fine degli anni Ottanta e che vede una generale scarsità di donatori umani disponibili.

I problemi. L'utilizzo di queste tecniche è controverso, per molte ragioni. Lo stesso Nakauchi nel 2018 ha raccontato che un suo primo esperimento con una pecora privata del pancreas ha prodotto un animale con pochissime cellule umane e nulla che ricordasse un pancreas: la distanza genetica tra uomo e pecora è con ogni probabilità responsabile del fallimento, con le iPS impiantate che sono state assorbite e sostanzialmente ignorate dalle cellule dell'animale. C'è poi chi fa notare il rischio insito nell'uso di staminali, che potrebbero "emigrare" dal luogo dell'impianto e andare a contribuire allo sviluppo di altri organi o tessuti, con risultati imprevedibili. Infine, c'è sul tavolo un'altra questione etica: è giusto allevare in massa animali il cui destino è quello di fare da serbatoi di organi per noi umani?

Gli esperimenti continuano. Mentre una parte del mondo della ricerca si interroga sulla liceità di queste tecniche, c'è invece chi è più interessato ad affinarle: l'esperimento condotto in Cina dal professor Juan Carlos Izpisúa Belmonte ha prodotto un ibrido tra uomo e scimmia, un embrione al quale non è stato permesso di svilupparsi fino in fondo ma che ha comunque mostrato segni (definiti incoraggianti) di adattamento alle cellule umane.

Quello che colpisce della vicenda è il dove: Izpisúa Belmonte (che nel 2014 ha lasciato il Barcelona Regenerative Medicine Center, che a suo dire non sosteneva a sufficienza le sue ricerche) è volato fino in Cina con il suo team, una squadra mista composta di spagnoli e americani. Sia la Spagna sia gli Stati Uniti, infatti, non vietano questi esperimenti ma ne limitano fortemente il raggio d'azione: in Spagna, per esempio, si possono condurre solo se dimostrabilmente legati allo studio di una malattia mortale. Al contrario, la Cina non ha leggi a riguardo, ma infrastrutture all'avanguardia che incoraggiano gli scienziati occidentali a spostare lì le loro ricerche.

23 settembre 2019 Gabriele Ferrari
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