Il confine estremo della vita sta forse nelle valli secche dell'Antartide, le più inospitali della Terra, con condizioni simili a quelle di Marte. Ed è un confine molto, molto sottile. Lo studio di un gruppo di scienziati di centri di ricerca americani e canadesi che per 4 anni hanno esplorato il permafrost antartico è arrivato alla conclusione che in quel territorio perennemente ghiacciato non esiste la vita. O, se esiste, va al di là dell'attuale capacità degli strumenti di trovarla.
I ricercatori hanno individuato nella University Valley, a 1.700 metri di quota, dei procarioti (batteri, organismi unicellulari privi di nucleo cellulare) e microfunghi, alcuni correlati con i funghi criptoendolitici (che vivono nelle porosità delle rocce). Gli autori spiegano che il suolo non ha uno strato attivo, perché perennemente ghiacciato ma asciutto: permanendo alla temperatura costante di circa -25 °C non si scongela mai. Per questo motivo ritengono che non esistano forme di vita nel suolo. Solo all'interno delle rocce, in quell'ambiente estremo, si possono sviluppare comunità microbiche criptoendolitiche.
L'esito dello studio in Antartico contrasta con i risultati di analoghe ricerche svolte nell'Artico, dove sono state invece trovate popolazioni microbiche attive . Questo, secondo i ricercatori, suggerisce che «la combinazione tra freddo intenso, aridità e oligotrofia (un ambiente povero di sostanze nutritive) del permafrost della University Valley limita gravemente l'attività microbica e la sua sopravvivenza».
Quelle stesse valli sono state visitate nel corso delle recenti spedizioni italiane in Antartite. E proprio nelle cavità della roccia un gruppo di biologi dell'Università statale della Tuscia coordinati da Silvano Onofri, ordinario di botanica all'Unitus, ha trovato microfunghi criptoendolitici. In precedenza, nel 1982, sempre nelle porosità delle rocce di quelle valli inospitali, lo studioso americano Imre Friedmann aveva isolato il Cryomyces antarcticus, un microrganismo criptoendolitico che si era adattato a vivere in quelle condizioni estreme.
Scoperte che hanno portato la comunità scientifica a indagare possibili relazioni tra questi microrganismi antartici, l'eventualità di una vita primordiale su Marte e i limiti stessi della vita nell'Universo . Così quelle muffe da alcuni anni sono utilizzate come modello negli studi di astrobiologia. A una delle ricerche lavora anche il gruppo di biologi della Tuscia, nell'ambito del Programma nazionale di ricerche in Antartide (Pnra).
In collaborazione con l'Agenzia spaziale europea (Esa) sono poi stati avviati alcuni esperimenti per testare la resistenza dei microrganismi dell'Antartide alle condizioni estreme esistenti al di fuori dell'atmosfera terrestre, per scoprire se e come si modificano e quali tracce o biofirme lasciano una volta esposti alle radiazioni cosmiche e alla pressione elettromagnetica dello Spazio.
Col primo esperimento, concluso nel 2009, si è scoperto che dopo 18 mesi passati nello Spazio il Cryomyces antarcticus era "vivo e vegeto”. Il secondo test è iniziato nel luglio 2014 e si concluderà quest'anno: il fungo antartico è stato rimandato sulla Stazione spaziale internazionale per studiare meglio le origini, l'evoluzione e forse il futuro delle forme primordiali di vita nell'Universo.
Questi esperimenti sono ritagliati attorno a due ipotesi affascinanti: quella del trasferimento interplanetario di batteri a cavallo di meteoriti come base dell'origine della vita, e quella che Marte o le lune ghiacciate di Giove e Saturno possano ospitare la vita, in forme simili a ciò che è stato trovato in Antartide e che possiamo ancora chiamare vita. E questo alla vigilia della missione europea ExoMars, che a marzo porterà nell'orbita marziana una sonda per cercare metano e altri gas, possibili indizi di una vita attiva, e che nel 2018 farà atterrare sul Pianeta Rosso un rover mobile dotato di strumenti per analizzare il suolo più in profondità di quanto possono gli strumenti di Curiosity. Sarà allora che si potrà verificare se i microrganismi scoperti in Antartide possano essere stati una delle forme primordiali di vita anche fuori dal nostro pianeta.
«Gli studi nella University Valley suggeriscono che quello sia un ambiente limite per la vita», commenta Onofri, «e ciò può fornire indicazioni sui limiti da cercare su Marte, definendo i confini per l'esistenza o meno di microbi su quel pianeta. La tematica affrontata dallo studio dei ricercatori americani e canadesi è molto simile alla nostra. La presenza di una vita microbica è dimostrata con vari metodi: colturali, respirometrici ex-situ e in-situ, molecolari (pirosequenziamento, o sequenziamento per sintesi). I microrganismi isolati possono essere usati come modelli per nuovi esperimenti fuori dall'atmosfera terrestre. Conoscere i limiti dell'esistenza della vita sulla Terra è fondamentale per la ricerca della vita al di fuori di essa. Negli ultimi anni la conoscenza delle condizioni estreme in cui è possibile la vita terrestre è molto aumentata, parallelamente alle conoscenze delle condizioni ambientali presenti o passate su altri corpi celesti, come Marte. Ormai i confini si toccano e abbiamo buone indicazioni di dove cercare e quale fonte di vita cercare al di fuori del nostro pianeta.»