Dall'inizio del 2016, e in particolar modo dallo scorso mese di marzo, sotto il vulcano St. Helens si è innescata una serie di terremoti: l'ipocentro, il punto all'interno della Terra dove inizia la frattura che genera il terremoto, si trova tra i 2 e i 7 chilometri di profondità e l'intensità va da pochi decimi sopra lo zero della scala Richter fino a 3, con una media attorno al grado 2.

I vulcanologi dell'USGS, il Servizio geologico degli Stati Uniti, interpretano il fenomeno come legato all'arrivo di materiale fuso nella camera magmatica sotto il vulcano: quando ciò succede, il nuovo magma deve farsi spazio e così frantuma le rocce, provocando i sismi.
Luce verde. La notizia è stata interpretata da molti come il segnale di una imminente e grossa eruzione, simile a quella del 1980, quando un'esplosione abbassò la cima del vulcano di oltre 350 metri, causò una frana di 2,5 chilometri cubi di materiale e le polveri emesse oscurarono il cielo per un raggio di 200 chilometri.

L'USGS però sostiene che siamo lontani da una simile eventualità e cita fenomeni analoghi che si sono ripetuti più volte dal 1988, in taluni casi con una maggiore intensità rispetto all'attuale. È vero che la sequenza sismica del 1998-99 fu seguita da un'eruzione, ma di tipo effusivo e non esplosivo, e quindi senza particolari conseguenze, ma al momento non ci sono segni di un ritorno in vita del vulcano neppure in quella modalità e il livello di allerta non è stato alzato e resta "verde" (nessun pericolo).
È anche vero, però, che l'eruzione catastrofica del 1980 avvenne dopo una lunga pausa di terremoti intensi, quando sembrava che il pericolo di un'eruzione esplosiva si fosse allontanato. Poi l'eruzione, il terremoto di magnitudo 5,2 e la gigantesca frana si verificarono insieme e senza preavviso: ogni eruzione fa dunque storia a sé.
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