Al bar o in campeggio si chiama ping pong. Alle Olimpiadi, tennistavolo. Ma al di là del nome, è uno degli sport più interessanti dal punto di vista delle neuroscienze.
Tutta colpa, o merito, della velocità degli scambi (altissima) e dei tempi di risposta (bassissimi). Come fanno i campioni di tennistavolo a colpire con precisione e tempismo? La risposta arriva proprio dalle neuroscienze: si fidano più delle loro orecchie che dei loro occhi.
Il nostro cervello, infatti, è più veloce a processare i segnali sonori di quelli visivi. Per arrivare alla corteccia somatosensoriale un segnale sonoro impiega circa 10 millisecondi, mentre un segnale visivo ne impiega 50. Percepiamo di aver visto qualcosa circa 4 centesimi di secondo dopo averne udito l’effetto. Questo fenomeno non è particolarmente evidente a grandi distanze, ma a pochi metri di distanza sì. Come nel caso di un tavolo da ping pong.
Come spiega Marco Malvaldi in Le regole del gioco, «questo è il motivo per cui, negli sport nei quali la velocità di risposta a uno stimolo è fondamentale, gli atleti d’élite prestano molta attenzione agli stimoli sonori; nel tennistavolo, per esempio, dove è fondamentale capire l’effetto impresso sulla pallina, si impara ad ascoltare il rumore che fa la boccia quando viene colpita dalla racchetta dell’avversario. Un rumore netto segnala che la pallina è stata colpita in modo piatto, senza imprimerle alcun effetto o quasi; un suono di gomma che schiocca, più basso in frequenza, è invece tipico di una palla carica di spin. Se per giudicare l’effetto i giocatori dovessero guardare l’arco della pallina nell’aria, sarebbero fregati».
Per questo motivo, si può dire, che i giocatori di tennistavolo giocano anche con le orecchie.