La Polarstern, nave laboratorio della missione MOSAiC Expedition (Multidisciplinary drifting Observatory for the Study of Arctic Climate) che Focus ha seguito dalla sua partenza lo scorso settembre, ha trascorso un anno in prossimità del Polo Nord, quasi sempre a motori spenti, lasciandosi andare alla deriva con il ghiaccio marino. L'obiettivo della ricerca era quello di raccogliere campioni e studiare l'ambiente e il clima artico e come quel mondo stia cambiando. Appena sceso dalla nave, il capo della spedizione, Markus Rex (Istituto Alfred Wegener, Germania), ha dichiarato con rammarico e senza mezzi termini: «Il ghiaccio marino sta morendo. L'intera area è a rischio. Abbiamo visto con i nostri occhi come il ghiaccio scompaia là dove c'era solo fino a poco tempo fa, e nelle aree dove avrebbe dovuto avere uno spessore di molti metri è fortemente assottigliato; in alcuni punti non c'è del tutto».

Un ritiro senza precedenti. Gli scienziati della Polarstern hanno potuto documentare e raccogliere un gran numero di informazioni sulla fusione dei banchi di ghiaccio avvenuta questa estate fino a portare l'estensione al secondo livello più basso mai raggiunto nell'era moderna. Il ghiaccio galleggiante ora si estende per poco meno di 3,74 milioni di chilometri quadrati: l'unica volta che questo minimo è stato battuto nell'era dei satelliti è stato nel 2012, quando la banchisa si era ridotta a 3,41 milioni di chilometri quadrati. La tendenza al ribasso registrata nel mese di settembre è di circa il 13 per cento per decennio. «Questo riflette molto bene il riscaldamento dell'Artico», afferma Rex: «il ghiaccio sta scomparendo. Se in pochi decenni avremo un Artico libero dai ghiacci, avremo anche un impatto drammatico sul clima dell'intero pianeta.»

Dalla Siberia alla Groenlandia. La spedizione, costata complessivamente 130 milioni di euro, è partita da Tromsø (Norvegia) il 20 settembre 2019 sulla stessa rotta dello storico viaggio del ricercatore polare norvegese Fridtjof Nansen, che condusse la prima deriva nel ghiaccio attraverso l'Oceano Artico più di 125 anni fa. Così, la Polarstern si è infilata nel ghiaccio sul lato siberiano del bacino artico con l'obiettivo di uscirne appena a est della Groenlandia. Nel corso della deriva, per studiare l'ambiente della regione si sono dati il cambio centinaia di ricercatori: tra i molti progetti portati a termine, i vari team hanno anche dispiegato una batteria di strumenti sulla banchisa per studiare con precisione come l'oceano e l'atmosfera stiano rispondendo al riscaldamento imposto all'Artico dall'aumento globale dei gas serra.
La pandemia. Il coronavirus ha interrotto solo brevemente la spedizione, obbligando però la nave a lasciare la banchisa per sbarcare un gruppo di scienziati e prendere a bordo i loro rimpiazzi, operazioni che in tempi normali sarebbero state affidate a elicotteri o altri trasporti via nave - ma in questo modo si è evitato di coninvolgere troppe persone, oltre al fatto che per un certo periodo erano anche in vigore le restrizioni ai viaggi.
Nuovi modelli. Nonostante l'interruzione, il progetto MOSAiC ha raggiunto tutti gli obiettivi previsti. La quantità di dati e campioni ora disponibili renderà più precisi i modelli che si utilizzano per le proiezioni dei cambiamenti climatici. «È come se gli scienziati del MOSAiC», conclude Markus Rex, «fossero entrati in profondità nei meccanismi degli eventi che si succedono nell'Artico, e questo permetterà di ricostruire quel che avviene in una delle aree più colpite dai cambiamenti climatici in atto e avere un quadro più chiaro per il futuro.»
LE INTERVISTE AI RICERCATORI PRIMA DELLA PARTENZA DELLA MISSIONE