Filtra il sangue e secerne i prodotti di scarto tramite l'urina. Si comporta cioè a tutti gli effetti come un rene normale, anche se con una funzionalità molto ridotta: stiamo parlando di un rene di ratto ricostruito in laboratorio e poi impiantato con successo su un topo vivente.
L'esperimento americano, raccontato in uno studio pubblicato su Nature Medicine, potrebbe restituire speranza a chi soffre di insufficienza renale cronica ed è costretto a costanti sedute di dialisi o all'attesa infinita di un trapianto.
Perché abbiamo due reni anche se possiamo vivere con uno solo?
Un team di ricercatori del Massachusetts General Hospital è riuscito a ricreare in laboratorio un rene utilizzando una tecnica chiamata decellularizzazione, già testata con successo nella creazione di cuori, polmoni e fegati artificiali (ne abbiamo parlato anche in questo video: Così si fabbrica un cuore). Gli scienziati hanno prelevato un rene da un ratto e, tramite una sostanza chimica detergente, l'hanno spogliato delle cellule del donatore, lasciando intatta soltanto l'impalcatura proteica connettiva, quella che ne determina la forma anatomica, completa della struttura esterna di vasi sanguigni e dotti escretori.
In questo modo, spiegano i ricercatori, si ottiene una matrice compatibile con le esigenze di trapianto nella quale innestare le cellule prelevate dallo stesso paziente o da donatori. Nel caso specifico, all'interno della "gabbia" proteica sono stati infusi due tipi di cellule: cellule staminali umane prelevate dal cordone ombelicale per rimpiazzare i vasi sanguigni, e cellule renali prelevate da ratti appena nati per produrre gli altri tessuti che compongono l'organo.
Nel giro di 12 giorni le cellule hanno riempito la struttura, dando origine a un rene nuovo di zecca. Testato in laboratorio, l'organo ha dimostrato di saper produrre il 23% dell'urina secreta da un organo naturale, mentre, una volta trapiantato sul ratto ricevente, la funzionalità è scesa al 5%.
La ridotta efficienza non deve spaventare, spiegano i ricercatori: basterebbe infatti ripristinare il 10-15% delle normali funzioni renali per rendere un paziente autonomo dalla emodialisi (una terapia che consiste nel purificare il sangue di chi è affetto da insufficienza renale attraverso una macchina esterna, chiamata "rene artificiale"). Inoltre il procedimento utilizzato permetterebbe di sfruttare organi non adatti al trapianto, ma disponibili, per ricavare l'"impalcatura" adibita ad ospitare le cellule del paziente e ridurre così il rischio di rigetto.
Ma la strada per arrivare a un simile esperimento sull'uomo richiede ancora alcuni decenni: rispetto ad altri organi come la pelle o il cuore i reni hanno infatti componenti cellulari e struttura piuttosto complesse, più difficili da replicare artificialmente.
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