Difficile pensare che i delicati tessuti di un sistema nervoso possano preservarsi per centinaia di milioni di anni. Eppure è proprio quello che è accaduto al cervello e agli occhi di 15 esemplari di un predatore marino vissuto 518 milioni anni fa: i reperti, alcuni dei più antichi cervelli fossili mai ritrovati, sono venuti alla luce tra il 2011 e il 2016 lungo la costa della Groenlandia settentrionale.
Vecchia conoscenza. La creatura, un antenato dei moderni artropodi (un gruppo di invertebrati che comprende i moderni crostacei ma anche ragni e scorpioni) dal nome scientifico di Kerygmachela kierkegaardi, era un predatore lungo circa 25 cm dalla forma ovale, con due lunghe antenne, 11 lobi natatori per lato e una coda affusolata. Non è nuovo alla scienza, ma il suo cervello lo è.
Finora i biologi credevano che gli antenati dei moderni artropodi avessero un cervello costituito da tre segmenti - come quello di aragoste, farfalle o ragni - e un sistema visivo molto semplice: gli occhi composti si sarebbero sviluppati in seguito, forse da un paio di zampe migrate verso il capo e divenute, col tempo, sensibili alla luce. Ma i fossili analizzati raccontano una diversa versione.
Tutto l'opposto. Il cervello dei paleo-crostacei era formato da un unico segmento e non da tre: era quindi piuttosto primitivo e simile a quello dei moderni onicofori (o vermi di velluto). Al contrario, gli occhi erano probabilmente complessi e capaci di percepire immagini rudimentali: una forma intermedia tra quella estremamente semplice in dotazione dei tardigradi e gli occhi estremamente articolati di alcuni artropodi. Secondo i ricercatori dell'Università di Copenhagen, che hanno descritto la scoperta su Nature Communications, i fossili di cervello e di occhi primitivi potrebbero essere più diffusi di quanto si pensi.