Scienze

Il Cern compie 60 anni

Il Cern spegne 60 candeline, ma non sente il peso degli anni. Anzi, è pronto a imbarcarsi nell'avventura forse più straordinaria della sua storia: l'esplorazione dei territori sconosciuti che potranno aprire le porte della cosiddetta ''nuova fisica''.

È curioso parlare del passato del Cern. Perché fin dalla sua nascita, avvenuta il 29 settembre 1954, il Cern è sempre stato proiettato verso il futuro. L'idea del Cern, sottoscritta nel 1954 dai 12 Stati che istituirono l'Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare, era nata da uno dei "ragazzi di via Panisperna", il fisico Edoardo Amaldi, per unire un'Europa dilaniata dalla II Guerra Mondiale.

«Il Cern - osserva oggi il direttore scientifico del Cern, Sergio Bertolucci - è nato da una di quelle idee di altissimo profilo di cui l'Europa sa essere promotrice: l'idea di usare la scienza per rimettere insieme un'Europa segnata dalla seconda guerra mondiale è stata un'idea visionaria, che ha travalicato fisica e scienza ed è stata uno dei cardini dell'idea di Europa unita».

Oggi, con 21 Paesi membri (e molti altri che collaborano alle sue ricerche), il Cern è il più grande laboratorio del mondo dedicato alla fisica delle particelle. E nel corso degli anni ha inanellato una serie di grandi scoperte.

Ma a 60 anni suonati, il Cern non sente il peso degli anni. Anzi, è pronto a imbarcarsi in nuove straordinarie avventure. Un formidabile upgrade dell'Lhc, l'acceleratore di particelle fiore all'occhiello del Cern, permetterà a migliaia di fisici di esplorare le nuove frontiere della fisica.

Ce lo racconta Giancluca Ranzini che è stato al Cern di Ginevra a vedere di persona come si sta preparando al futuro.

Là dove corrono le particelle. Cento metri sottoterra c’è una caverna enorme. Tanto grande che potrebbe contenere un palazzo di 8 o 10 piani. Cavi e monitor, indicatori dalle funzioni incomprensibili e rack colmi di computer sono sparsi ovunque. In sottofondo, il ronzio della climatizzazione. Ma ciò che impressiona più di tutto è l’oggetto al centro di questo antro artificiale, illuminato dai neon. Domina la scena un enorme cilindro di metallo dai colori improbabili, che potrebbe essere qualsiasi cosa: un thermos per il caffè di creature gigantesche quanto un’astronave aliena.

Se fossi stato catapultato qui da un fantascientifico teletrasporto, potrei immaginare di essere finito nel bel mezzo della fantomatica Area 51 o in un segretissimo laboratorio militare dove si studiano le armi del futuro. Ma non ci sono in vista soldati con i mitra spianati. Infatti questo luogo è legale e pacifico, anche se non facilmente accessibile: siamo nella caverna dell’esperimento Alice (A large ion collider experiment), al Cern di Ginevra.

Gli scienziati sono alle prese con la manutenzione del Large hadron collider (Lhc), l’acceleratore di particelle più potente del mondo. Tra poco, con l’avvicinarsi del riavvio dell’acceleratore, non sarà più possibile scendere quaggiù.

È un’occasione da non perdere.

MEGALOPOLI di scienziati. La prima sensazione che si prova al Cern (Organizzazione europea per la ricerca nucleare) è che tutto sia grande. Ed è singolare, dato che qui si studiano i costituenti più piccoli della materia, tutta roba che i nostri occhi non possono neanche lontanamente vedere. È gigantesco l’involucro cilindrico dell’esperimento, è lunghissimo il tunnel dell’Lhc, è enorme lo stesso Cern, un piccolo mondo a sé a cavallo tra Svizzera e Francia, alla periferia di Ginevra.

Ogni giorno è animato da 10 mila persone di oltre 100 Paesi diversi; gli italiani sono quasi 2 mila, di cui 700 fisici coordinati dall’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn). Il Cern insomma è come una piccola cittadina transnazionale. Che però è divisa a spot. Al nucleo principale, il sito di Meyrin, si accede dal territorio svizzero. E anche se l’invisibile linea del confine passa tra un edificio e l’altro, nessuno se ne preoccupa. Nel Cern non ci sono dogane. «Tra i nostri punti di forza, due sono fondamentali » racconta Bertolucci. «Il primo è che siamo indipendenti dalla politica, il secondo è che siamo una grande famiglia, con 21 Paesi membri. Per cui se qualche tempo fa la Spagna non poteva pagare la sua quota, l’Lhc non si è fermato. È lo spirito del Cern, fondato nel 1954, poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale: si è pensato che la ricerca fosse uno dei pochi linguaggi di pace che l’umanità aveva saputo inventare».

scontri produttivi. L’Lhc è la punta di diamante del Cern. Immaginatevi questo tunnel circolare sotterraneo lungo 27 km, dove vengono accelerati protoni quasi alla velocità della luce (in un secondo fanno 11.000 giri!) perché scontrandosi producano altre particelle e svelare l’essenza intima della materia.

VIAGGIO PROFONDO. All’esterno, il tunnel non si vede: ci sono campi e villaggi. Ogni tanto, però, svoltando in un viottolo senza particolari indicazioni, c’è un punto di accesso. Che consiste in uno o più edifici dentro ai quali si trova un pozzo che precipita nel sottosuolo, fino a 150 metri di profondità. Lì sotto ci sono le caverne che alloggiano gli esperimenti collegati all’Lhc. Ci si infila un caschetto tipo minatore e ci si butta con l’ascensore nei meandri della Terra; gli scienziati del Cern passano anche una scansione della retina, come nei film di James Bond. Tutti gli ospiti, per regolamento, sono poi informati sulla radiazione assorbita nella visita (generalmente zero, ma la sicurezza è rigorosa).

Nessuno cerca di minimizzare il grave danno che l’Lhc ha subìto ancora prima dell’inaugurazione ufficiale, alla fine del 2008, e che ha causato subito oltre un anno di stop.

Bertolucci racconta: «Una delle 10.000 connessioni tra i magneti si è fusa e ha causato la fuoriuscita violenta di alcune tonnellate di elio superfluido, che hanno danneggiato circa 700 metri di apparecchiatura. D’altra parte l’Lhc rappresenta l’impresa scientifica più complessa mai intrapresa dall’uomo, più di quella che ha mandato gli astronauti sulla Luna. Avevamo sottovalutato questo aspetto delle connessioni tra i magneti che servono a incurvare la traiettoria delle particelle e a focalizzare i fasci».

Acceleratore dimezzato. Per questo, dopo le riparazioni, l’acceleratore è stato fatto lavorare a un’energia dimezzata rispetto a quella massima prevista, per non correre altri rischi. Malgrado questo è arrivata l’eccezionale scoperta del bosone di Higgs, annunciata nel 2012 e confermata l’anno scorso.

Ora l’Lhc è stato fermato per una lunga manutenzione il cui scopo principale è proprio il rifacimento o il consolidamento delle 10.000 le connessioni incriminate. Saranno anche sostituiti alcuni magneti e aggiornati i rivelatori dei diversi esperimenti. L’acceleratore ripartirà all’inizio del 2015, a piena potenza.

un’altra Fisica. A caccia di cosa, questa volta? «Non lo sappiamo» dice Bertolucci. «Da qui in avanti ci muoviamo in un territorio inesplorato. L’Higgs sapevamo dove cercarlo. Aumentando l’energia invece potremmo trovare cose che neanche i teorici hanno immaginato». Qui si guarda ancora più avanti: a un ammodernamento sostanziale dell’Lhc previsto intorno al 2025, progetto sotto la responsabilità di un altro italiano, Lucio Rossi. E, ancora, si ipotizza un nuovo mega acceleratore di 100 km di circonferenza che passerebbe sotto il lago di Ginevra. Un’impresa epocale, ma che non sarebbe strana per chi lavora qui. Basti pensare che al Cern, nel 1989, è stato inventato nientemeno che il Web, come testimonia una targa accanto alla porta di un anonimo ufficio. O all’incredibile potenza di calcolo messa in campo dal grid, la rete di oltre 150 centri sparsi in quasi 40 nazioni che consente di immagazzinare e analizzare la mole spaventosa di dati che l’Lhc produce quando è operativo: qualcosa pari a circa 210.000 dvd al giorno.

Qui qualche volta l’inventiva batte la tecnologia: il piccolo canale in cui sfrecciano le particelle nell’Lhc è stato testato in poche ore facendo correre al suo interno una pallina da ping-pong. Al Cern storie e aneddoti si rincorrono, come quello sull’aroma di sigaro che pare annunci la presenza di Carlo Rubbia, Nobel per la fisica nel 1984 per la scoperta, qui al Cern, dei bosoni W e Z.

sorprendenti. Da queste parti nessuno si dà arie, anche i vertici (diversi esperimenti hanno a capo uno scienziato italiano dell’Infn) sono disponibili a rispondere alle nostre domande.

Tiziano Camporesi, responsabile dell’esperimento Cms, sorride quando rimaniamo a bocca aperta sentendo che per le loro misure scattano 40 milioni di foto da 100 megapixel ogni secondo, che dopo due selezioni rapidissime sono ridotte a meno di 1.000 per l’uso effettivo. Paolo Giubellino, che invece è responsabile di Alice, ci sorprende raccontando di come loro studino condizioni fisiche che sono quanto di più vicino si possa ricreare in laboratorio a ciò che accadde una frazione di secondo dopo il Big Bang. Dobbiamo andare su Internet per scoprire che questo signore dallo sguardo entusiasta e la parlantina svelta ha vinto riconoscimenti in mezzo mondo e il presidente della Repubblica Napolitano l’ha nominato commendatore per meriti scientifici.

futuro giovane. Tutto questo fa nascere una sensazione alla quale troppo spesso in Italia non siamo abituati. Quella che qui siano bravi davvero. Che le persone che occupano posizioni di responsabilità non ci siano finite perché sono gli amici dei cugini di qualcuno. Al Cern si premia chi merita, e spesso si tratta di giovani. L’età “di picco” (cioè quella più rappresentata) tra i 10.000 che lavorano qui è straordinariamente bassa: 26 anni. Sergio Bertolucci, che di fatto è il numero 2 di tutto il Cern, racconta di aver visto passare in questi anni migliaia di nostri giovani connazionali. Per questo, commenta: «Se l’Italia smette di investire in educazione e ricerca non abbiamo futuro ». E se da un lato c’è l’amarezza che di questi cervelli pochi sono rientrati da noi, dall’altra possiamo inorgoglirci: gli altri sono stati accaparrati dai più prestigiosi centri di ricerca del mondo.

29 settembre 2014 Gianluca Ranzini
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