Ormai è un appuntamento irrinunciabile, per chi si occupa di scienza e divulgazione, come Focus. Il Festival della scienza di Genova, arrivato alla decima edizione (e al nono anno) è una specie di riassunto di quanto nella scienza italiana e internazionale è importante – e anche di quello che è “di moda”.
Esserci è quindi fondamentale anche per conoscere l’affresco che va dalla ricerca più avanzata alla divulgazione più popolare; per capire come costruire un messaggio efficace, conoscere da vicino i protagonisti della ricerca e capire il clima e l’accettazione della stessa da parte degli italiani – almeno di quelli più interessati.
La città della scienza
Basta guardarsi in giro appena arrivati nella città (come ho fatto dal 2 al 4 novembre scorso): ci sono ovunque manifesti che presentano le attività, le conferenze, i laboratori, le mostre e gli incontri che si svolgono. Se non si arriva in tempo le conferenze dei “comunicatori” più famosi sono inavvicinabili, e i laboratori prenotati con molto anticipo. Le frotte di bambini sono forse l’aspetto più interessante: in fila davanti al planetario nel Cortile minore del palazzo ducale, altri (a decine) nel laboratorio organizzato dall’Accademia Jedi o in quello che seguiva le nuotate di un robot nel porto di Genova. Insomma, le iniziative sono state quasi tutte un successo, tanto che secondo gli organizzatori i numeri sono molto buoni. Nonostante una diminuzione del numero di giorni, c’è stato un aumento del 10% in generale. E anche la partecipazione alle conferenze è cresciuta.
La top model della fisica teorica
Il pubblico ha partecipato con diverse declinazioni, ovviamente, e approcci differenti; non sfugge infatti l’impressione alcune grandi conferenze plenarie (che quest’anno hanno riunito anche 10 dei più affezionati ricercatori e divulgatori che hanno fatto la storia del festival) siano frequentate anche solo per vedere il “personaggio” televisivo.
Oppure per farsi affascinare da complesse costruzioni astratte (le lectiones magistrales di Lisa Randall e Piergiorgio Odifreddi rientravano in questa categoria), o ancora perché attirati da un titolo accattivante o misterioso, come nel caso dell’eccellente “Il cervello ha un sesso” di Catherine Vidal o “L'enigma quantistico nella vita” di Francesco De Martini; un po’ per dire «Ci sono stato». Non che questo sia negativo in assoluto, perché quando la scienza e le idee sono protagoniste qualcosa rimane sempre; dopo aver assistito ad alcune conferenze, come pubblico o moderatore, ho avuto però l’impressione estremamente positiva che in particolare i giovani siano interessati all’argomento in sé, non al personaggio.
Un chimico in cucina
Al di là degli incontri nel Palazzo Ducale, sede delle conferenze più frequentate, in questa edizione in particolare il Festival è riuscito a presentare la scienza non solo come costruzione astratta, ma come viva e indispensabile strumento per gestire situazioni o problemi che incontriamo tutti i giorni. “Abitudini alimentari e sostenibilità”, “Divertirsi imparando: la divulgazione scientifica e i serious game” fino a “Il ruolo del Geologo e del Geofisico” toccano temi di grandissima attualità nei quali la scienza può, o meglio dovrebbe, dire la sua. Uno degli esempi più divertenti è stato senz’altro “Dal conte Rumford alla gastronomia molecolare” in cui il chimico-fisico Dario Bressanini ha raccontato come l’applicazione di principi scientifici in cucina – che ha una lunga storia – possa portare a ricette curiose, divertenti e perfette; per esempio un purè di patate morbido e non colloso.
Rispetto a qualche anno fa, inoltre, lo sforzo di comunicazione del Festival è aumentato: oltre ai filmati di molte conferenze, che andavano in streaming e possono essere rivisti in qualsiasi momento, molti incontri sono stati coperti da un costante twitting che ha tenuto informati del loro andamento tutti coloro che erano collegati con il social network di microblogging. Insomma, in undici giorni, il Festival di Genova ha tracciato un ritratto dell’interesse per la scienza da parte degli italiani. Forse il confine ristretto delle undici giornate potrebbe essere allargato anche prima, e dopo, con un festival light, in modo da allargare la platea e far sì che la comunicazione della scienza possa essere una costante nella società italiana. Ma già lo sforzo per portare a tutti una serie di argomenti che dovrebbero avere ben altra cittadinanza nel sentire comune e nei mezzi di comunicazione è assolutamente benemerito.