Scienze

I sogni che riteniamo banali sono essenziali per il funzionamento della memoria

L'attività onirica più utile al cervello per consolidare i ricordi potrebbe essere quella tipica delle fasi più profonde del sonno, che di solito svanisce senza lasciare traccia.

Sono i sogni considerati “noiosi”, con contenuti che riguardano di solito stralci della giornata trascorsa, molto diversi dalle storie fantasmagoriche e cariche di emotività tipiche dei sogni classici. Finora, questo tipo di attività onirica che avviene nelle fasi più profonde del sonno è stata considerata poco importante, e soprattutto molto meno studiata. Un gruppo di ricercatori delle Università di Zurigo e di Friburgo l’ha rivalutata, arrivando a sostenere che per il funzionamento del cervello e della memoria svolga funzioni forse più importanti dei sogni della fase REM.

C'è sogno e sogno. Fino a non molto tempo fa, si pensava che sognassimo solo durante la fase REM del sonno, chiamata così per i movimenti rapidi degli occhi (Rapid Eye Movement), come se la vista seguisse le scene visualizzate nei sogni. Oggi si sa che non è così: l’attività onirica è presente anche nelle altri fasi del sonno, in particolare quello profondo, anche se i contenuti di questi sogni sono più semplici e vaghi, e sono quelli che tendiamo a ricordare meno.

Sogni e memoria. Per studiare come l’attività onirica influisca sulla memoria e la cognizione, i ricercatori hanno sottoposto una ventina di volontari a un test che prevedeva di imparare una lista di un centinaio di parole cui erano associate delle immagini, per esempio il termine “albero” collegato alla figura di un bambino su una sedia. Durante la prima notte dell’esperimento, i ricercatori hanno monitorato il sonno dei volontari con l’elettroencefalogramma, svegliandoli da tre a sei volte quando era rilevata l'attività onirica, e chiedendo loro che cosa stessero sognando. Il giorno successivo i volontari sono stati sottoposti al test di memoria con la lista di parole.

Chi nella fase non-REM aveva sognato i contenuti legati al test (cioè alle parole da imparare e alle rispettive immagini collegate), il giorno dopo ricordava meglio le associazioni, e ha avuto punteggi migliori nel test. I sogni delle fasi REM, invece, non hanno avuto alcuna relazione con la performance. Nella seconda notte dell’esperimento, poi, i volontari non sono mai stati svegliati, e al mattino è stato chiesto loro del contenuto dei sogni: nessuno ricordava qualcosa riguardante la nuova lista di parole che avevano dovuto imparare la sera prima.

La qualità non influisce. Secondo gli scienziati, la ricerca costituisce un indizio del fatto che, al contrario di quanto si pensava, potrebbero essere proprio i sogni della fase non-REM a permettere il consolidamento della memoria e dei ricordi.

Secondo gli autori, inoltre, lo studio dimostra che il metodo dei risvegli è consono per studiare il ruolo dei sogni nel consolidamento della memoria: una delle obiezioni era che i continui risvegli falsassero queste ricerche, disturbando proprio il processo che si voleva studiare.

Invece, i continui risvegli cui sono stati sottoposti i volontari, anche se hanno inciso parecchio sulla qualità della nottata, non sembrano avere influito sulla memorizzazione. Almeno a prima vista, dunque, sembrerebbe che non si possa dare la colpa di un brutto risultato a un esame alla notte insonne che l'ha eventualmente preceduto.

23 giugno 2018 Chiara Palmerini
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