Scienze

I geni della memoria

Sei gruppi di geni per bloccare i ricordi.

I geni della memoria
Sei gruppi di geni per bloccare i ricordi.

Tra le più importanti zone del cervello coinvolte nella creazione della memoria c'è l'ippocampo (in marrone).
Tra le più importanti zone del cervello coinvolte nella creazione della memoria c'è l'ippocampo (in marrone).

La memoria permette all'uomo di acquisire conoscenze dal mondo. Le informazioni devono poi essere custodite in una forma transitoria (memoria a breve termine), che si forma rapidamente e dura solo per minuti o alcune ore. Per persistere giorni, mesi o anni, queste informazioni devono essere successivamente trasformate in una memoria a lungo termine. Tale consolidamento è dovuto alla sintesi di proteine in gran parte sconosciute. Un gruppo di ricerca italo-americano ha intrapreso l'immane compito di identificare e classificare, utilizzando moderne tecniche di indagine sul genoma (l'insieme dei geni che compongono il nostro patrimonio genetico), i tratti di Dna coinvolti nel processo.
Sottoponendo alcuni ratti a prove di memoria “spaziale”, mediante l'uso di un labirinto acquatico, ha scoperto i geni che si attivano nel corso del consolidamento della memoria.
Molte sono le scoperte interessanti di questo studio, pubblicato sull'autorevole rivista statunitense Proceedings of the national academy of science. Prima di tutto è stato scoperto che il consolidamento della memoria coinvolge l'azione di moltissimi geni che agiscono di concerto, come una grande orchestra perfettamente coordinata. Poi lo studio ha dimostrato che alcuni dei meccanismi coinvolti nel corso della memoria sono anche sotto l'influenza dell'attività fisica. Tale scoperta sembra quindi convalidare l'antico motto mens sana in corpore sano, confermando l'effetto benefico che l'attività e l'esercizio fisico esercitano sulle nostre capacità cognitive.
Prossime le cure? Secondo Sebastiano Cavallaro, il coordinatore dello studio, che lavora all'Istituto di Scienze Neurologiche del Cnr di Catania: «Questo studio potrebbe portare, nel giro di poco tempo, anche a interessantissimi aspetti applicativi. I meccanismi molecolari identificati rappresentano dei potenziali bersagli verso cui si potrà indirizzare nuove terapie farmacologiche in grado di migliorare le nostre capacità cognitive. Infatti, tra le sostanze testate, una in particolare (chiamata FGF-18) è già risultata in grado di migliorare le capacità nei ratti.
Poiché il sistema della memoria nei ratti è simile a quello umano, non passerà molto tempo prima di poter applicare queste conoscenze anche in malattie degenerative umane che implicano una perdita di memoria, come la malattia di Alzheimer.»

(Notizia aggiornata al 2 dicembre 2002)

25 novembre 2002
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