Scienze

I batteri prosperano nelle ossa di dinosauro

Comunità moderne e molto attive di microrganismi sono state trovate all'interno di fossili di 76 milioni di anni fa, considerati inerti come pietre. La scoperta riaccende tra i paleontologi un dibattito tutt'altro che risolto.

Quando popolavano il Pianeta, i dinosauri, come tutti i viventi, erano interamente colonizzati da batteri. Altre comunità microbiche si occuparono del paziente lavoro di decomposizione dei corpi, dopo la loro morte. Ma i microrganismi di recente ritrovati all'interno delle ossa fossili di un Centrosaurus, un dinosauro cornuto vissuto 76 milioni di anni fa e ritrovato ad Alberta, Canada, hanno una caratteristica davvero inaspettata: sono moderni, insediatisi nei pori di questo materiale biologico soltanto in tempi recenti.

Fossili abitati. La scoperta di queste popolazioni di batteri estremamente attive e vitali ha lasciato Evan Saitta e i colleghi del Field Museum of Natural History di Chicago a dir poco stupefatti. Suggerisce che i microbi possano continuare a colonizzare le carcasse animali anche a decine di milioni di anni dalla scomparsa dei tessuti, quando le ossa sono ormai divenute pietra, sepolte sotto centinaia di metri di suolo. Lascia intendere, insomma, che i fossili non siano quei "sassi inerti" che spesso immaginiamo. «Le ossa forniscono un rifugio - spiega Satta intervistato dall'Atlantic - sono porose e danno ai microbi lo spazio per proliferare. Sono piene di fosfato e ferro. Possono bloccare l'umidità.»

Un dibattito caldo. La ricerca che deve ancora passare il processo di revisione tra pari, ed è intanto consultabile in pre-pubblicazione, riapre un'annosa questione tra i paleontologi. Se dovesse valere per tutte le ossa di dinosauro, come ha influito la questione sui dati pubblicati finora? Tracce di materiale biologico interpretate come appartenute a dinosauri potrebbero essere state in realtà prodotte da floride (e moderne) comunità batteriche.

paleontologia
Simulazione del lavoro di scavo dei paleontologi. La raccolta totalmente asettica dei campioni è un'impresa impossibile. Anche perché i fossili possono essere contaminati all'interno. © Shutterstock

Proteine di dinosauro? Alla metà degli anni 2000 Mary Schweitzer della North Carolina State University pubblicò uno studio in cui descriveva la presunta scoperta di vasi sanguigni, cellule e tracce di collagene nelle ossa del femore di due dinosauri, un Tyrannosaurus di 68 milioni di anni fa e un Brachylophosaurus di 80 milioni di anni fa. Un dato dal potenziale enorme: se davvero proteine come il collagene possono sopravvivere così a lungo, potremmo avere materiale per studiare i dinosauri anche a livello molecolare.

Tuttavia, lo studio destò scetticismo. La maggior parte delle proteine antiche sopravvive qualche centinaia di migliaia di anni. Alcuni campioni di molecole eccezionalmente "longevi" resistono per 3 o 4 milioni di anni, protetti dal freddo o all'interno di particolari minerali. Ma quelle ritrovate dalla Schweitzer sarebbero state 20, 30 volte più antiche.

Passati inosservati. Qualcuno suggerì che moderni microrganismi avessero contaminato i campioni. Ma in che modo? L'archeologa aveva prestato la massima attenzione nelle fasi di raccolta e di analisi.

Prima di procedere aveva addirittura smontato e pulito gli strumenti con l'alcol.

In base al nuovo studio, queste precauzioni non avrebbero potuto fare nulla contro i batteri che vivevano all'interno del fossile (e non sulla sua superficie). Il team di Saitta ha osservato le stesse procedure di raccolta il più possibile asettiche per il Centrosaurus. Tuttavia, dopo aver polverizzato le ossa, è stata trovata in esse una quantità di materiale genetico appartenente a batteri moderni 50 volte più alta che nel suolo circostante. Nessuna traccia di proteine antiche è stata rinvenuta nel fossile, e poiché molte specie batteriche possono digerire il collagene, la loro presenza all'interno delle ossa rende ancora più improbabile che questo materiale si possa ritrovare.

Per Schweitzer, l'eventuale presenza di batteri all'interno delle ossa analizzate dal suo team non annullerebbe la scoperta, suffragata da analisi di conferma come la spettrometria di massa, che assimila il collagene trovato a quello di altri vertebrati. Insomma anche se il dibattito e il confronto sono sempre positivi, in ambito scientifico, la questione è per ora tutt'altro che risolta.

25 settembre 2018 Elisabetta Intini
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