Scienze

Himalaya: le quattro regioni più a rischio di terremoti

Uno studio su dati gps individua quattro grandi zone a rischio sismico estremamente elevato nella regione dell'Himalaya: sono aree molto popolate.

Nove su dieci tra le montagne più alte del mondo si trovano nella regione dell'Himalaya, costruita da continue interazioni tra placche tettoniche. Non stupisce che questa sia anche una delle aree a più elevato rischio di terremoti al mondo, tenuta sotto stretta osservazione dai geofisici di tutto il mondo. Un recente studio ricostruisce la mappa del rischio sismico nei 2.000 km dell'arco himalayano basandosi sugli impercettibili movimenti del suolo registrati da una rete di stazioni (la cui posizione è monitorata attraverso il gps) negli ultimi 20 anni, e non sulla statistica dei terremoti storici (come si è fatto finora). La ricerca è stata pubblicata su Geophysical Research Letters.

Muro contro muro. Le montagne dell'Himalaya si sono formate grazie alla collisione tra la placca tettonica dell'India, diretta verso nord, e quella dell'Eurasia che spinge verso sud: questo scontro è cominciato circa 50 milioni di anni fa e prosegue tutt'ora, seppure a velocità più contenute. Ma il movimento di subduzione della placca indiana sotto quella euroasiatica non è omogeneo lungo tutto l'arco dell'Himalaya. In alcune aree, le due placche sono bloccate perché spingono l'una contro l'altra, e stanno accumulando stress tettonico che potrebbe essere scaricato in forti terremoti. 

Accumulo pericoloso. «Le stazioni gps lungo l'arco himalayano registrano il movimento di convergenza della placca Indiana verso quella Euro-Asiatica» spiega Luca Dal Zilio, geofisico del California Institute of Technology, primo autore dello studio. «Il tasso di convergenza è di circa 18-20 millimetri all'anno. Le registrazioni di questi movimenti nel corso degli ultimi 20 anni possono essere usate per mappare l'accoppiamento inter-sismico tra le due grandi placche tettoniche lungo la faglia (il Main Himalayan Thrust) e stabilire quali zone hanno un alto grado di accoppiamento (interseismic coupling)».

«Il grado di accoppiamento è un valore che varia da 0 a 1 (cioè da 0 a 100%): quando l'accoppiamento inter-sismico è 0% significa che le due placche scivolano l'una rispetto l'altra e quindi non accumulano deformazione elastica, che è quella che serve per generare un terremoto. Al contrario, le aree che risultano "bloccate" (che mostrano valori di circa il 100% di accoppiamento intersismico) sono quelle che accumulato una deformazione elastica uguale al tasso convergenza (18-20 millimetri/anno). Questo significa che ogni 50-60 anni, quella zona della faglia ha accumulato circa 1 metro di deformazione elastica, la quale verrà rilasciata durante la propagazione di terremoti futuri. Ci sono zone bloccate del Main Himalayan Thrust che non hanno avuto un grande terremoto dal 1505.

Questo significa che tali zone hanno accumulato una deformazione elastica di 9-10 metri, la quale potrebbe essere rilasciata con una terremoto di magnitudo superiore a 8-8.5».

I vari lockdown imposti dall'emergenza coronavirus hanno fatto diminuire di un terzo il rumore sismico, le vibrazioni della crosta terrestre riconducibili ad attività umane come i trasporti o le operazioni industriali. In tempi normali succede, brevemente soltanto nei giorni dopo il Natale: sismologi e vulcanologi ne stanno approfittando per studiare i fenomeni geologici minori e più difficili da ascoltare. © Shutterstock

valutazione del rischio. Per individuare le aree a maggiore rischio sismico, Dal Zilio e colleghi hanno confrontato il tasso di convergenza noto delle placche con le loro velocità relative, registrate in diverse regioni da 270 stazioni gps.

Le regioni in cui il tasso di convergenza è equivalente alla velocità di scivolamento tra le due placche sono anche quelle "meno bloccate", che rilasciano gradualmente lo stress meccanico accumulato e difficilmente generano grandi terremoti - un fatto confermato dall'assenza di sismi importanti nelle registrazioni storiche. Gli scienziati hanno individuato in particolare tre di queste zone "cuscinetto" nella faglia, che potrebbero funzionare da barriere per i terremoti.

Ma il team ha anche trovato quattro sezioni lunghe centinaia di km, dove le placche Indiana ed Euroasiatica non si stanno muovendo molto relativamente l'una all'altra, e che stanno accumulando energia tettonica come molle. Sono regioni di India, Nepal e Bhutan, alcune delle quali densamente abitate (basti pensare alle centinaia di milioni di persone che popolano la Pianura indogangetica). Qui sono possibili terremoti «significativamente più grandi del terremoto di 7.8 del Nepal nel 2015», spiega Dal Zilio: la magnitudine di questi eventi potrebbe superare l'8.5, come confermato anche dai dati storici dei sismi in queste aree.

6 aprile 2020 Elisabetta Intini
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