In una grotta, si può andare indietro nel tempo. Le stalattiti, le stalagmiti, le colonne e tutte le altre concrezioni che si formano in queste cavità sotterranee sono infatti veri archivi di informazioni sul clima e sulle precipitazioni del passato. Ora, proprio grazie all'analisi di una di queste strutture, gli studiosi dell'Università degli Studi di Milano e dell'Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa hanno ricostruito il clima della Mesopotamia di migliaia di anni fa, in un periodo cruciale: quello della rivoluzione neolitica. Il momento in cui le polazioni delle terre note come Mezzaluna fertile (un'area tra Israele, Libano, Turchia, Siria, Iraq, Iran) hanno sviluppato le prime civiltà di agricoltori e allevatori.
Agricoltori rivoluzionari. «Alcuni studiosi hanno ipotizzato che una crisi climatica abbia avuto un ruolo cruciale in questo processo. Si tratta di un cambio climatico di pochi secoli, attorno a 8.200 anni fa: fu una fase di raffreddamento globale che causò un inaridimento in alcune zone. Secondo la teoria, quel periodo arido avrebbe spinto le popolazioni della Mezzaluna Fertile a cercare nuove strategie per la coltivazione e a completare la rivoluzione neolitica, diffondendo agricoltura e allevamento e creando le prime città», spiega Andrea Zerboni, docente di geomorfologia all'Università degli Studi di Milano.
Ma quanto mutò il clima in quella regione? E fu davvero determinante per quella rivoluzione che cambiò la storia umana? Per rispondere, Zerboni e gli altri autori dello studio pubblicato su Scientific Reports hanno studiato appunto una concrezione trovata in una grotta del Kurdistan iracheno.
Costretti dal meteo? «Abbiamo analizzato una colata che si è formata sulla parete di una roccia, migliaia di anni fa. Queste concrezioni, come stalattiti e stalagmiti, sono composte dal carbonato di calcio che precipita dall'acqua che percola nelle grotte. Crescono in modo più o meno regolare: la parte interna è la più vecchia, mentre l'esterna è quella di più recente formazione. Un po' come accade con gli anelli degli alberi», continua Andrea Zerboni.
«Sulle concrezioni si fanno diverse analisi che ci possono raccontare molto. L'età per esempio si stabilisce con la datazione uranio/torio (basata sui tempi di decadimento degli isotopi radioattivi uranio-234 e torio-230 e usata per calcolare l'età di materiali contenenti carbonato di calcio, ndr)». Gli scienziati hanno così visto che la colata si è formata tra 11.000 e 7.300 anni fa.
«Lo studio degli isotopi stabili di carbonio e ossigeno, invece, ci dice quanta pioggia cadeva in un dato momento nell'area da cui arrivava l'acqua che penetrava nella grotta e quanta vegetazione c'era. Anche lo spessore delle lamine di accrescimento è un indicatore della quantità di pioggia».
Che cosa ci ha raccontato, dunque, quella concrezione nascosta in una grotta irachena? «Abbiamo visto che quel cambio climatico nella zona fu molto minore di quanto si pensasse. Non ci fu un forte inaridimento e il fenomeno non fu così impattante», conclude Zerboni. «Dunque quei primi agricoltori non furono obbligati dal clima a trovare nuove soluzioni. La loro rivoluzione era già avviata, frutto di fattori culturali». Il clima, dunque, diede loro al massimo una modesta spinta.