Geofisici e fisici delle particelle potranno calcolare con precisione l'energia residua della Terra, quella che tiene vivo il nostro pianeta fin dalla sua formazione e che si manifesta con fenomeni su scala planetaria (la tettonica) e cosmica (il campo magnetico), che ha contribuito a renderlo abitabile e che qualche volta ha effetti drammatici per i suoi abitanti (con vulcani e terremoti).
È l'insieme dell'energia primordiale che ha permesso l'aggregazione di polveri e rocce e dell'energia nucleare prodotta dal decadimento naturale degli elementi che compongono il nucleo del pianeta.
Gli scienziati potranno stimare l'energia residua della Terra, a circa 4,5 miliardi di anni dalla sua formazione, misurando la quantità di geoneutrini che emette: si tratta di particelle subatomiche, antineutrini, sottoprodotto delle reazioni nucleari che avvengono nelle stelle (Sole compreso), nei buchi neri, nelle supernove e nei reattori delle nostre centrali elettronucleari.
Sono anche il sottoprodotto del processi di decadimento nucleare che avvengono nelle profondità del pianeta.
Per intercettare questi antineutrini sono necessari immensi rivelatori schermati da migliaia di metri di roccia, in profondità o nel cuore di una montagna, per isolarli dai raggi cosmici e dai neutrini solari. La collisione dei geoneutrini col rivelatore produce due caratteristici e inequivocabili lampi: il numero di eventi è correlato al numero di atomi di uranio e torio all'interno della Terra.
La misura sarà effettuata nell'arco dei prossimi anni (entro il 2025) dai rivelatori KamLand (Giappone) e Borexino (Italia), entrambi operativi, e dai nuovi rivelatori in costruzione, SNO+ (Canada) e Jinping e Juno (Cina), operativi entro il 2022.