Nasciamo con la predisposizione allo studio, o siamo spinti a farlo da vari fattori ambientali? Rispondere non è semplice e - probabilmente - neanche necessario, ma ora un'ampia indagine sui fattori genetici associati al successo dell'istruzione individuale aggiunge un interessante tassello alla risposta, che si conferma inevasa.
Negli ultimi cinque anni, un gruppo internazionale di ricercatori ha lavorato per identificare le varianti genetiche nel DNA umano che, benché in minima parte, risultino "predittive" del numero di anni di istruzione che ciascuno riceve. Nel 2013, l'analisi del genoma di 101 mila persone riuscì a identificarne soltanto 3. Nel 2016, triplicando il campione di riferimento dello studio, se ne trovarono altre 71. Ora, allargando il bacino a 1 milione e 100 mila soggetti di origine europea, l'elenco è arrivato a 1.271.
La ricerca coordinata da Daniel Benjamin, dell'University of Southern California, Los Angeles, è stata pubblicata su Nature Genetics. Per la delicatezza del tema trattato e per le facili conclusioni che studi di questo tipo possono suscitare, il paper è accompagnato da una lunga lista di domande & risposte: ne citiamo qualcuna, per meglio spiegare il lavoro.
Dunque, sono stati identificati "i geni della scolarizzazione"? No. Piuttosto, sono state individuate molte varianti genetiche che sono attive nelle fasi di sviluppo cerebrale dell'embrione e del feto ma anche in età adulta, e che - come spiegato sull'Atlantic - partecipano alla creazione dei neuroni e di altre cellule cerebrali, hanno effetto sulle sostanze chimiche da questi secrete e sul modo in cui scambiano informazioni e si connettono. Queste varianti, quindi, influiscono sulla biologia del cervello, che a sua volta ha ricadute sulla psicologia, cioè sul modo in cui comportiamo.
La presenza di queste varianti determina il livello di istruzione in modo causale? No. Negli studi di associazione genome-wide, come quello appena pubblicato, si indagano tutte le varianti genetiche dell'intero genoma degli individui studiati per capire se queste siano, in media, associate a più alti o più bassi livelli del risultato indagato.
Le varianti identificate sono associate in questo caso alla durata dell'istruzione scolastica, ma non ne sono la causa: sarebbe del tutto scorretto dire che scegliere di continuare o interrompere gli studi "è scritto nei geni".
In quale misura influiscono, allora? Per una serie - complessa - di ragioni, che hanno a che fare in parte con l'ambiente in cui si vive, ciascuna di queste varianti, da sola, ha un effetto molto piccolo. Prese tutte insieme (in un indice chiamato punteggio poligenico, che aggrega le informazioni relative a tutte le varianti presenti in un singolo individuo) possono spiegare l'11% della variabilità in scolarizzazione dell'intera popolazione studiata.
Negli individui coinvolti nella ricerca (1,1 milioni), il 12% di coloro che rientravano nel 20% di punteggi poligenici più bassi si è laureato, contro il 57% di coloro che rientravano nel 20% di punteggi poligenici più alti.
L'11% della variabilità potrà non sembrare un granché in confronto, per esempio, alle previsioni meteo professionali che predicono correttamente il 95% di variabilità delle condizioni atmosferiche. Tuttavia, quando si parla di fattori che influiscono sulla durata degli studi, l'influenza dei geni risulta paragonabile a quella di altri parametri convenzionalmente considerati negli studi sociologici. Per esempio risulta più rilevante di quella del reddito familiare, ma meno del livello di istruzione di uno dei genitori. Se per esempio, vostra madre ha un dottorato di ricerca, il suo background potrebbe influire sul vostro percorso di studi più delle varianti studiate.
Allo stesso tempo, il valore predittivo trovato non riesce a dare ragione di gran parte (l'89%) delle differenze negli anni di istruzione nella popolazione. In altre parole, molti tra coloro che hanno un basso punteggio poligenetico raggiungeranno alti livelli di istruzione, e molti di coloro con un alto punteggio non finiranno l'Università.
Perché uno studio genetico sul livello di istruzione? In un futuro ideale, identificare fattori che possono predisporre a maggiori difficoltà scolastiche potrebbe servire a mettere in campo strumenti educativi per ridurre questo divario. Ma come spiegano gli autori, anche allargando il campione il grado di predittività di queste varianti non aumenterebbe di molto, pertanto basare politiche sociali su indagini di questo tipo sarebbe assolutamente prematuro.
Piuttosto, lo studio potrebbe servire, come già avvenuto in passato, a capire se le varianti associate alla durata degli studi siano anche predittive di altre condizioni come una predisposizione ai disturbi dell'apprendimento, alla malattia di Alzheimer, alla schizofrenia o alla longevità. O ancora, la ricerca potrebbe essere utile ad escludere l'apporto del fattore genetico dagli studi che verificano l'efficacia di alcune politiche scolastiche di sostegno a chi fa più fatica.
Un altro risvolto interessante è capire come interagiscano, in epoche storiche diverse, geni e fattori ambientali. Come ricorda l'Atlantic, un secolo fa, il fattore maggiormente predittivo della durata degli studi sarebbe stato il numero di cromosomi X, perché per come era strutturata la società, per le donne era più difficile accedere agli studi. Oggi, studiare richiede disponibilità a trascorrere molte ore seduti, seguendo le indicazioni impartite da un insegnante. Chi si stanca facilmente, è iperattivo o sopporta male l'autorità, probabilmente resiste meno a lungo in un contesto scolastico.
D'altro lato, studi di questo tipo potrebbero essere sfruttati per il motivo opposto a quello che li ha ispirati, ossia discriminare o stigmatizzare chi ha varianti che predispongono meno a un lungo periodo di istruzione. Non è una paura campata per aria, ma esattamente quello che accadde in passato con i fautori dell'eugenetica.