Azzoppando l'attività di un paio di geni con due colpi di precisione inferti dalla CRISPR è possibile aumentare la produttività di un campo di mais del 10%, e quella di una risaia dell'8%. Un lavoro pubblicato su Science cerca nella millenaria tradizione agricola e nelle possibilità offerte dall'editing genetico nuovi modi di garantire la sicurezza alimentare globale - a partire dalle basi di ogni dieta, i cereali.
Stessi risultati. Mais e riso, rispettivamente il cereale più coltivato e quello più consumato dall'uomo, hanno storie e geografie di domesticazione molto diverse. Quella del mais sarebbe avvenuta in Messico, mentre l'uso culinario del riso affonda le radici in Cina. Eppure la paziente selezione, di stagione in stagione, dei semi migliori da parte degli agricoltori ha portato questi cereali a evolvere tratti genetici simili, in un esempio di convergenza evolutiva.
Le chiavi dell'abbondanza. Xiaohong Yang, uno scienziato della China Agricultural University di Pechino, ha mappato il genoma di mais e riso e individuato 490 coppie di geni che sembrano rivestire analoghe funzioni in entrambi i cereali. Molti di questi geni sono coinvolti nel metabolismo dell'amido e rendono i chicchi più nutrienti. Ma due in particolare hanno catturato l'interesse del ricercatore: sono KRN2 e OsKRN2, presenti il primo nel mais e il secondo nel riso, e sembrano avere un ruolo nel decidere quanto un raccolto sarà produttivo. Determinano infatti quanti chicchi di mais o quante pannocchie (ossia i rami carichi di fiori sulla pianta del riso) nasceranno.
Silenzio! Entrambi i geni sono più utili da spenti. Usando la CRISPR per disabilitare l'attività del KRN2, la pianta del mais produce due file di chicchi in più e la resa dei raccolti aumenta del 10%. Se si zittisce nel riso il gene OsKRN2 si ottengono risultati analoghi: aumenta il numero di pannocchie e il raccolto "lievita" dell'8%. Ora i ricercatori stanno studiando il gene KRN2 anche nel frumento e in alcune varietà selvatiche di cereali, che di solito hanno una resa minore ma sopportano meglio le alte temperature. Il punto è capire se sia possibile inserire i geni che aumentano la resa in queste piante, non addomesticate ma più resistenti ai cambiamenti climatici.