Scienze

La fusione del permafrost rivoluziona i fondali artici

Lo scioglimento del permafrost sottomarino cambia l'aspetto dei fondali ghiacciati nell'Artico: una trasformazione nascosta che rilascia gas serra.

La fusione del permafrost artico dovuta al global warming può portare al cedimento di strade, ponti, edifici, ferrovie e infrastrutture industriali: l'affossamento del suolo che un tempo era perennemente ghiacciato e ora non lo è più ha provocato, nel 2020, il collasso dei piloni di una cisterna di gasolio a Norilsk, in Siberia, causando un disastro ecologico.

Ma lo scongelamento del permafrost sta lentamente agendo anche in un modo più nascosto: in base a uno studio pubblicato su PNAS starebbe stravolgendo l'aspetto del fondale marino dell'Oceano Artico.

Magma ghiacciato. La drammatica trasformazione dei fondali ghiacciati dell'Artico è stata documentata dal MBARI (Monterey Bay Aquarium Research Institute) nella parte canadese del mare di Beaufort, una porzione di Mare Glaciale Artico divenuta soltanto di recente accessibile agli scienziati per il ritiro dei ghiacci marini dovuto ai cambiamenti climatici.

Usando veicoli autonomi sottomarini e sonar, i ricercatori hanno misurato la profondità del pavimento oceanico: in alcuni punti, la fusione del permafrost sottomarino ha spalancato profondi sinkhole, alcuni dei quali capaci di inghiottire comodamente un quartiere cittadino. In altre zone è successo l'opposto e dal fondale si sono sollevate collinette ghiacciate conosciute come pingo. Come se il fondale, non più rigido, fosse diventato malleabile.

Un processo naturale. È la prima volta che è possibile osservare i cambiamenti che la fusione del permafrost provoca in mare, lontano dalle coste. Ma mentre la degradazione del permafrost terrestre è strettamente legata al global warming, lo scioglimento dei fondali ghiacciati nell'Artico fa parte di un processo molto più lento e graduale, iniziato 14.000 anni fa con la fine dell'ultima era glaciale. Insomma in questo caso non c'entrano i cambiamenti climatici indotti dall'uomo, anche se il fenomeno potrebbe aggravare l'effetto serra e dunque anche il riscaldamento globale.

Riserve pericolose. Secondo uno studio pubblicato lo scorso anno infatti, il permafrost sui fondali ghiacciati dell'Oceano Artico racchiude 60 miliardi di tonnellate di metano e 560 miliardi di tonnellate di CO2. Una quantità di gas serra impressionante: per fare un paragone, dall'inizio della Rivoluzione Industriale ad oggi l'uomo ha rilasciato in atmosfera 500 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Il rilascio di questi gas con la fusione del permafrost marino è fortunatamente molto lento: ogni anno vengono liberati dal fondale artico 140 milioni di tonnellate di CO2 e 5,3 milioni di tonnellate di metano, una piccola quantità rispetto al totale di gas serra emesso dalle attività umane.

In questa mappa dell'emisfero settentrionale, il permafrost sottomarino si trova nella parte quadrettata; quello terrestre è indicato con il blu. © Credit: Tingjun Zhang

Permafrost: dove si trova. Il permafrost si forma quando il suolo rimane a 0 °C o sotto per almeno due anni di fila.

Questo tipo di terreno perennemente ghiacciato si estende per 23 milioni di km quadrati nell'emisfero settentrionale, in altre parole fa da base al 24% della terraferma (ma in misura minore si trova anche a sud, in Nuova Zelanda, Sud America, Antartide).

Il permafrost sottomarino è invece presente esclusivamente nell'Oceano Artico. Si è formato nel corso dell'ultima era glaciale, quando buona parte dell'acqua terrestre is trovava sotto forma di ghiaccio e il livello del mare era inferiore a quello odierno. Quando i ghiacci si sciolsero e il mare risalì, gli oceani ricoprirono vaste aree di terra perennemenete congelata. Oggi ci sono porzioni di fondale marino in cui la parte congelata raggiunge anche i 100 metri di spessore.

15 marzo 2022 Elisabetta Intini
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