Sono passati più di due anni dalla conferenza F8, durante la quale Facebook aveva annunciato l’arrivo, in un futuro indefinito, di un misterioso dispositivo in grado di interpretare i segnali della nostra mente e permetterci di scrivere 100 parole al minuto senza toccare la tastiera. In un articolo scientifico pubblicato su Nature, l’Università della California conferma che quell’apparecchio sta davvero prendendo forma, grazie alla ricerca finanziata dal celebre social network e portata avanti da diverse università statunitensi.
Italia all’avanguardia. Gli esperti statunitensi, attraverso l’utilizzo di elettrodi, hanno analizzato i tracciati elettrocorticografici (cioè le registrazioni dell’attività elettrica spontanea che avviene nella corteccia cerebrale), riuscendo a intendere le parole pensate dai volontari senza che questi le pronunciassero. Uno studio italiano di qualche anno fa aveva già preannunciato la possibilità di “leggere nel pensiero”, ma ora ciò che era solo teoria sembra si stia trasformando in pratica.
Per ora l’operazione risulterebbe troppo invasiva e richiederebbe un intervento neurochirurgico. Per il futuro, però, Facebook ha l'obiettivo di creare un dispositivo indossabile che permetta agli utenti di cambiare canzone o interagire con la realtà virtuale utilizzando semplicemente i propri pensieri. Niente elettrodi, dunque, ma fibre ottiche o laser per misurare i cambiamenti dei livelli di certi parametri nel sangue. Stando a quanto afferma la multinazionale, un primo prototipo del dispositivo potrebbe essere pronto già per fine anno.
Privacy addio? Ma siamo sicuri di desiderare un apparecchio capace di vedere i nostri pensieri (seppur, teoricamente, solo quando lo vogliamo noi)? È il dubbio che è sorto a Nita Farahany, professoressa specializzata in neuroetica alla Duke University (USA): «Credo che la mente sia un luogo sicuro, dove vige la libertà di pensiero, di fantasia, di dissenso», ha dichiarato l’esperta. «Ci stiamo avvicinando al punto di non ritorno: in assenza di protezioni, la nostra privacy potrebbe venire seriamente compromessa».
«I dati contenuti nel nostro cervello sono ricchi di informazioni sensibili, la preoccupazione è giustificata», concorda Marcello Ienca, ricercatore di interfacce neurali dell’ETH di Zurigo. Per ora Facebook, rassicura: «Prendiamo molto sul serio la privacy», ha affermato Mark Chevillet, direttore della ricerca del Facebook Reality Labs. C'è da fidarsi?