Da studente svogliato a marito poco romantico: la vita di uno scienziato superstar, pieno di nevrosi, visto attraverso l'articolo "L'evoluzione di un uomo" di Maria Leonarda Leone, tratto dagli archivi di Focus Storia.
Studente modello? Il padre, i compagni e gli insegnanti pensavano fosse un bambino pigro e neppure troppo dotato. E forse un po' se n'era convinto anche lui, visto che da adulto scriveva che "è davvero sorprendente che con doti così modeste io sia stato capace d'influire in modo tanto notevole sulle opinioni degli scienziati su alcuni importanti problemi". Eppure Charles Darwin, ragazzino ipercoccolato, studente poco brillante e scienziato schivo, riuscì a scompigliare le carte dell'origine e dell'evoluzione delle specie sulla Terra. In che modo? Osservando la natura, metodico e indefesso.
COLLEZIONISTA SERIALE. Quinto di sei figli, era nato il 12 febbraio 1809 a Shrewsbury, una sonnacchiosa cittadina inglese di provincia, in una ricca e colta famiglia. Era un bambino robusto, occhi grigi e folti capelli castani, dolce e accomodante. Amava stare all'aria aperta, collezionare qualsiasi cosa gli capitasse per le mani, soprattutto pietre e insetti, e scoprire i nomi delle piante insieme a suo padre, un medico col pallino della botanica, da cui aveva ricevuto il suo primo manuale di storia naturale: due preziosi volumi scritti dall'omonimo zio Charles.
Caccia agli insetti. Non era solo una fissazione infantile: anche mentre frequentava il vicino collegio e in seguito l'università, agli studi classici continuò a preferire la caccia agli insetti e, per qualche anno, gli esperimenti di chimica in un laboratorio fai-da-te, una vecchia rimessa nel cortile di servizio della casa paterna, fucina per puzzolenti esperimenti. Affabile ma introverso, "non era uno studente modello, non faceva altro che collezionare coleotteri, farfalle e cose del genere", ricorderanno i suoi compagni.
MEDICO MANCATO. Tutti la prendevano per indolenza, ma grazie alla determinazione con cui Darwin la portò avanti, quella passione cambiò il corso della scienza nei decenni a venire. Non prima, però, che il naturalista in erba, spinto dal padre, tentasse la strada della medicina. Il disgusto provocatogli dai cadaveri, dalle urla dei pazienti durante le operazioni (senza anestesia) e dalla vista del sangue, che continuò a renderlo quasi isterico anche di fronte ai graffi dei suoi figli, lo spinsero ad abbandonarla senza rimpianti.
Delusione paterna. Ma il genitore non la prese altrettanto sportivamente. "Non fai altro che andare a caccia, occuparti di cani e catturare i topi, e sarai perciò una disgrazia per te stesso e per tutta la famiglia", tuonò quando lo seppe.
Così nel 1828 spedì il figlio a Cambridge, al Christ's College, per avviarlo alla carriera ecclesiastica. Sappiamo bene, però, che Charles non diventò neppure un curato di campagna.
L'OCCASIONE DELLA VITA. "Un giorno, strappando una vecchia corteccia d'albero, vidi due coleotteri rari e li presi, uno in una mano, l'altro nell'altra; poi alla vista di un terzo, di tipo nuovo, che non volevo perdere, mi misi in bocca quello che tenevo nella mano destra. Ma, ahimè, l'insetto emise un liquido acre che faceva bruciare la lingua, così fui costretto a sputarlo e lo persi, come avvenne anche del terzo", racconta Darwin nella sua Autobiografia.
Per circa due anni, passò così il tempo a Cambridge. Poi conobbe John Steven Henslow, famoso professore di botanica. Quasi unica eccezione al consueto disprezzo che Charles riservava ai suoi insegnanti, quell'uomo "che conosceva tutti i campi della scienza" diventò il suo mentore. E, ad agosto del 1831, gli procurò il posto di naturalista di bordo sul Beagle, un brigantino della Marina britannica in partenza per un viaggio esplorativo fino alla Terra del Fuoco e ritorno attraverso le Indie orientali. Da quell'avventura intorno al mondo lo studente arrogante e disinteressato tornò uomo di scienza con una promettente carriera.
UN'UNIONE BEN PONDERATA. Anche le donne si accorsero di quel cambiamento: fra tutte, lo scapolo scelse sua cugina, Emma Wedgwood. La prese in moglie il 29 gennaio 1839, ma solo dopo aver stilato un nevrotico elenco di "pro e contro il matrimonio": se fosse rimasto scapolo, avrebbe potuto "andare ovunque ti piaccia", "ascoltare la conversazione degli uomini di ingegno nei club", "dedicare al lavoro tutto il tempo che vuoi", "spendere tutti i soldi che vuoi per i libri". "Niente litigi, costi e ansia per i figli" che "se sono molti, bisogna guadagnarsi il pane".
Il matrimonio, proseguivano i contro, è "una perdita di tempo", "ci si ingrassa e ci si impigrisce", al punto che "Ahimè!! Non imparerò mai il francese, non vedrò il continente, non andrò in America né in mongolfiera. Niente escursioni nel Galles – povero schiavo – sarai peggio di un negro". Eppure alla fine i pochi argomenti a favore prevalsero: "la musica e il cinguettio femminile", "una compagnia costante e un'amica per la vecchiaia, una casa ben governata e dei figli (se Dio vuole)".
Un matrimonio vittoriano. In fondo, una moglie dotata delle solide virtù vittoriane era "comunque meglio di un cane", concludeva Darwin, che era abbastanza progressista da schierarsi con la causa abolizionista americana contro la schiavitù, ma non tanto da rinnegare le idee sulla famiglia patriarcale e sul ruolo minore della donna tipiche della società maschilista del suo tempo.
Quello con Emma fu l'inizio meno romantico che si possa immaginare, ma, dopo una dichiarazione piuttosto fredda e un pranzo di nozze a base di acqua e panini lungo la strada per Londra, nella nuova casetta la coppia ingranò. Insieme ebbero 43 anni di reciproco affetto, 10 figli (tre dei quali non raggiunsero l'adolescenza) e una grande casa di campagna nel Kent, a una ventina di chilometri da Londra: la tenuta di Down House, dove si trasferirono nel 1842.
UNA TRANQUILLA MEZZA ETÀ. «Nel 1858, sull'orlo dei cinquant'anni ed erede di un bel patrimonio, Darwin era ormai un appagato, rispettabile e benvoluto gentiluomo vittoriano, con una solida reputazione nell'ambiente scientifico», spiega Janet Browne, docente di Storia della scienza all'Università di Harvard e autrice del poderoso saggio Darwin. L'evoluzione di una vita (Hoepli). «Non aveva la stretta necessità di trovare un lavoro: come molti altri che appartenevano allo suo stesso ambiente sociale, era libero di coltivare i suoi interessi».
UN MORBO MISTERIOSO. Lo studio e i libri dedicati ai suoi strambi interessi naturalistici (dai cirripedi ai tassi, dai colombi alle smorfie dei suoi figli, dalle orchidee ai lombrichi, solo per citarne alcuni) erano il centro della sua esistenza: tutti i componenti della sua famiglia ruotavano intorno a esso. Ma lo stress lavorativo, le pressioni e le polemiche nate dalle sue teorie intensificarono i disturbi che aveva cominciato ad accusare dopo il viaggio sul Beagle: nausee costanti, accessi di vomito incessante, problemi intestinali e poi mal di testa, sfoghi cutanei, tremori e spossatezza. Persino una chiacchierata più lunga o un incontro con i suoi amici lo facevano cadere in un terribile stato di prostrazione, che raggiunse l'apice fra il 1863 e il 1866. Costretto per lo più a letto o sul divano, si sentiva "un sepolto vivo".
Tarlo ereditario. Per curarsi aveva provato di tutto, dalla medicina tradizionale a tutte quelle pratiche che bollava come "ciarlatanerie", ma trovò qualche momentaneo miglioramento solo con l'idroterapia. Anche se frizioni, docce gelate e impacchi umidi erano una tortura per un tipo freddoloso come lui, che a casa faceva accendere i caminetti in ogni stagione, nonostante i tre strati di lana che portava addosso, tra biancheria, gilet, scialle o cappotto. "Il mio incubo è la debolezza ereditaria", si tormentava. Sua madre, persa a 8 anni, aveva vissuto una vita ritirata, "mai in perfetta salute, mai gravemente inferma" e Darwin temeva che lui e i suoi figli avessero preso da quel ramo della famiglia.
Un timore rinnovato alla morte della sua preferita, Anne: "Ho paura che abbia ereditato la mia digestione disgraziata", scrisse al suo capezzale, nel 1851, poco prima che la piccola si spegnesse a soli 10 anni.
ROUTINE QUOTIDIANA. La malattia diventò parte integrante della sua vita. Aiutato, guidato e accudito in tutto da Emma, si abituò a una rigorosa routine che non abbandonò più: la sveglia di buon mattino, la corrispondenza, le passeggiate sul Sandwalk (un vialetto di ghiaia dietro casa, che usava come pensatoio), le letture di sua moglie ad alta voce e soltanto poche ore di intenso lavoro quotidiano.
Abitudinario. I figli più grandi sostenevano che l'orologio dell'atrio si potesse regolare sul cigolio della porta del suo studio. O sul suo soffiarsi il naso ogni sera, esattamente alle 22:30. Quando, su consiglio dei medici, la consorte gli tagliò gli amati dolci, Darwin si consolò con i fichi e i datteri che i figli riuscivano a procurargli di nascosto. Fu anche costretto ad abbandonare il caffè delle 16:30, ma non rinunciò mai al bacon e, soprattutto, al tabacco da fiuto, "scuro e cattivo", che faceva starnutire le domestiche quando lo spazzavano da terra. L'unico limite a pesargli era quello di non poter lavorare di più. «Si accomodò nella terza età, si rinchiuse nell'universo sicuro dei suoi studi e del suo studio, circondato dalla moglie, dai figli che crescevano e dai fedeli servitori, tenendo fuori il mondo esterno», scrive Browne.
"STAR" SOLO A DOMICILIO. E siccome lui non si muoveva da casa, a partire dagli anni Settanta furono i suoi fan a fare di Down House la meta di un pellegrinaggio al limite del religioso. Molti gli scrivevano per chiedere un autografo, soldi, lavoro, referenze. O solo per propinargli "curiosità" scientifiche, come una rana intrappolata in un pezzo di carbone o un ibrido tra gatto e coniglio.
Grafomane. Darwin rispondeva gentilmente sempre a tutti. Salvo nel 1880, quando Robert Lawson Tait, un invadente chirurgo che chiedeva favori di continuo, gli propose di organizzare un festival in suo onore a Birmingham: "Non sarebbe meglio aspettare che io sia nella fossa?", si stizzì il diretto interessato. Di lì a due anni il medico avrebbe avuto via libera: il cuore del "primo fra gli uomini di scienza e d'Inghilterra" cedette il 19 aprile 1882. Aveva chiesto di rimanere a Down House anche da morto, ma la scienza lo reclamò: venne tumulato nell'Abbazia di Westminster, a Londra, dopo una solenne cerimonia affollata di filosofi, scienziati e dignitari pubblici, a cui, se fosse stato vivo, Darwin non avrebbe mai preso parte.
Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?