Studiare i cambiamenti nella forma di un vulcano a partire da rilevazioni da terra è un'operazione complessa e spesso imperfetta. Per monitorare i cambiamenti morfologici dell'area dell'Etna i ricercatori dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), delle sezioni di Catania e Pisa, hanno fatto ricorso al telerilevamento aereo, e in particolare alla tecnica del LiDAR (Light Detection and Ranging), basata su scansioni laser.
Sono così riusciti a ricostruire l'evoluzione del vulcano siciliano dal 2007 al 2010, come documenta lo studio pubblicato su Geophysical Research Letters.
Un vulcano in divenire. La tecnica del LiDAR consente di determinare la distanza di una superficie utilizzando impulsi laser, acquisendo dati con elevata risoluzione e ad alta velocità (fino a 100 mila punti al secondo). In questo caso ha permesso di ricostruire la morfologia dell'Etna a settembre 2010 e a giugno 2007, e confrontare le due situazioni per risalire alle variazioni di volume nella parte sommitale del vulcano.
Cura all'ingrasso. Si è visto così che nell'arco di tre anni, sulla cima dell'Etna e lungo la Valle del Bove (l'ampia depressione che ricopre il versante est del vulcano) si sono accumulati 86 milioni di metri cubi di materiali vulcanici. La maggior parte di essi (74 milioni) è stata eruttata da una fessura sull'alto fianco occidentale della Valle del Bove, la cui forma è apparsa profondamente cambiata.
Il periodo più recente. Con le stesse tecnologie si guarderà ora ai mutamenti successivi. Per esempio, spiega Boris Behncke dell'INGV di Catania, «quelli accaduti dal gennaio 2011 in poi, che hanno dato vita a una lunga serie di eventi eruttivi sommitali, costruendo, negli anni successivi, il nuovo cono del Cratere di Sud-Est, alto 300 m e cresciuto più velocemente di qualsiasi altro vulcano nella storia documentata».