Il mondo deve fare molto più di quanto sta facendo per prepararsi a una prossima, spaventosa eruzione vulcanica... L'affermazione dai toni decisamente catastrofici e l’appello di alcuni importanti vulcanologi capeggiati da Chris Newhall, del Mirisbiris Garden & Nature Center di Santo Domingo, nelle Filippine.
Lo tsunami dell’Oceano Indiano (2004) e il terremoto del Giappone (2011), per quanto devastanti, furono ben poca rispetto all'eruzione del Tambora (1815), in Indonesia: persero la vita migliaia di persone e, a livello globale, le polveri in atmosfera a un anno senza estate in Europa e in America, con temperature così basse da compromettere i raccolti e innescare drammatiche carestie.
L’esplosione del Tambora fu poi registrata al valore 7 nell’indice di esplosività vulcanica (VEI), che arriva a 8. Secondo Newhall (che ha contribuito a definire l'indice) «la prossima grande eruzione potrebbe verificarsi tra centinaia di anni, oppure nel corso della nostra vita: è il momento di prendere atto che può succedere, così che scienziati e governi possano pianificare misure di emergenza».


Newhall è anche l'autore principale di un articolo pubblicato su Geosphere che esplora le potenziali conseguenze di un'eruzione di intensità VEI-7. Il vulcanologo è un esperto di eruzioni violente: ha seguito quelle del Sant'Elena (1980, VEI-5) e del Pinatubo (1991, VEI-6). «Uccisero centinaia di persone», ricorda il ricercatore, «e bloccarono l’attività di intere regioni. Il Pinatubo immise così tanta anidride solforosa in atmosfera da causare un raffreddamento globale. Ma tutto ciò è ancora poco rispetto alle conseguenze di un’eventuale eruzione VEI-7.»
I più pericolosi. «L'agricoltura, la sanità, i sistemi finanziari e altri aspetti delle nostre vite sono molto più interconnessi a livello globale di quanto non lo fossero anche solo pochi decenni fa: il crollo dell’economia di una parte del pianeta avrebbe ricadute importanti su tutta l’umanità», sostiene Newhall.


Tra marzo e aprile del 2010, l'eruzione dell'Eyjafjöll, in Islanda, classificata solo VEI-3, fermò il traffico aereo europeo per giorni a causa del pericolo di volare tra le ceneri vulcaniche, con perdite stimate attorno a 5 miliardi di dollari. Un’eruzione VEI-7 potrebbe alterare il clima del pianeta e mettere in crisi anche i collegamenti satellitari a causa delle polveri in atmosfera: globalmente, e senza fare la conta delle vittime dirette, le conseguenze sarebbero drammatiche.
I ricercatori hanno una lunga lista di vulcani candidati che potrebbero dare origine a un’eruzione VEI-7 in tempi non lunghissimi, a partire dal Taupo (Nuova Zelanda), dove 26.500 anni fa è avvenuta l'ultima eruzione VEI-8 al mondo, e dal Damavand (Iran), a soli 50 chilometri da Teheran.
A questi si aggiungono altri vulcani di cui si conosce il potenziale catastrofico, come i Campi Flegrei e la caldera di Yellowstone.


La Terra non è tranquilla. Con il loro appello, gli scienziati vogliono sottolineare non tanto il pericolo delle eruzioni in sé, che - affermano - potrebbero comunque causare molte migliaia di vittime (anche perché le aree dei vulcani sono “colonizzate dall’uomo” come mai prima), ma l’impatto sul pianeta, che andrebbe al di là del dramma locale.
Che eventi di questa portata possano accadere è un dato di fatto, anche se il pianeta ci sembra più “calmo” rispetto ai suoi primordi. Le forze ancora in gioco al suo interno, però, legate soprattutto alla tettonica delle zolle, creano ancora tali stress che la formazione di magma altamente esplosivo e in grandi quantità è normale, e questo darà ancora vita a eruzioni simili a quelle di tempi lontanissimi.