Non c'è dubbio che l'eruzione esplosiva del vulcano Tonga, il 15 gennaio scorso, sia stata tra le più violente a memoria d'uomo. Forse una peggiore catastrofe è stata evitata grazie al fatto che il vulcano è esploso nelle profondità marine: se fosse avvenuta al di sopra, le conseguenze sarebbe state ben diverse.
Un record. In ogni caso gli effetti dell'eruzione si sono fatti sentire ben oltre la superficie terrestre. Analizzando i dati provenienti dai satelliti meteorologici, Simon Proud, dell'Università di Oxford, ha potuto calcolare che il materiale emesso – soprattutto ceneri – ha raggiunto una quota di ben 39 chilometri al di sopra del mare. Da questo punto di vista, se i dati verranno confermati, si tratta di un record: mai, da quando l'uomo registra questi fenomeni, ceneri vulcaniche erano arrivate a una tale altitudine.
Qualcuno ricorda che quando nel 1991 esplose il Pinatubo, un vulcano delle Filippine, e le sue ceneri arrivarono a circa 21 chilometri di quota (dunque ben al di sotto della quota di cui parliamo ora per il vulcano Hunga Tonga) poi vi fu un sensibile raffreddamento del Pianeta che durò circa due anni. Avremo dunque effetti simili, se non peggiori, anche in questo caso?
L'altezza non è tutto. Secondo il ricercatore le prime analisi fanno propendere per una risposta negativa: gli effetti dell'eruzione non dovrebbero influenzare il clima terrestre. Certamente la quota raggiunta da gas e ceneri gioca un ruolo significativo, perché se questi rimanessero vicino alla superficie terrestre sarebbero meno facilmente spazzati dai venti stratosferici e distribuiti attorno al Pianeta; ma è molto importante anche la quantità del materiale che è stato emesso.
Nel caso del Tonga si stima che in atmosfera sia arrivata una quantità di anidride solforosa – che è il materiale che più di tutti finisce per "bloccare" i raggi solari – non troppo abbondante: "appena" 400.000 tonnellate, pari a circa il 2 per cento della quantità emessa dal Pinatubo.
Fino in Australia. «Per questo motivo», spiega Karen Rosenlof, esperta di chimica atmosferica presso il National Atmospheric and Oceanic degli Stati Uniti Amministrazione (NOAA), «non mi aspetterei di vedere un cambiamento significativo nella temperatura superficiale globale». Il materiale emesso, comunque, si è già distribuito sull'Australia, a oltre 4.000 chilometri di distanza a ovest di Tonga, e lì potrebbe ricadere sotto forma di piogge acide, che non sono certo salutari per l'ambiente e la vita in genere.
Impressionanti sono state le onde d'urto prodotte in atmosfera dall'esplosione: registrate da numerose stazioni di rilevamento sul Pianeta, hanno fatto letteralmente il giro del mondo, più volte.


Spiega Eugenio Privitera, che insieme a Mariangela Sciotto e Alessandro Bonfante dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia le ha rilevate anche in Italia: «Dopo circa 17 ore di viaggio nell'atmosfera, le onde acustiche prodotte dall'esplosione dell'Hunga Tonga - Hunga Ha'apai sono giunte sull'Etna e sono state registrate dalla rete infrasonica permanente che opera sul nostro vulcano. Le onde acustiche non erano udibili perché erano al disotto delle frequenze che l'orecchio umano può percepire», ossia inferiori a 20 Hz. Dopo un primo passaggio nella serata del 15 gennaio, l'onda ha continuato a propagarsi attorno alla Terra e alle 9:50 del 17 gennaio ha completato il giro ed è stato registrato un secondo passaggio sopra l'Italia: «Assumendo un percorso di circa 40.000 chilometri», spiega Bonfante, «possiamo dire che la velocità media è stata di circa 1.111 km/h, prossima a quella del suono a livello del mare».
Qui sotto, un confronto tra due immagini satellitari scattate prima e dopo la spaventosa esplosione del vulcano, danno un'idea degli effetti prodotti.