Scienze

Le ere glaciali del nostro Pianeta

Conseguenza di impatti, di variazioni nella rotazione della Terra o di cali della salinità dei mari, le ere glaciali hanno condizionato la vita del Pianeta.

 

L'ultima era glaciale si è conclusa alcune migliaia di anni fa, e oggi il mondo si trova - per usare le definizioni dei geologi - in una "fase calda di un periodo interglaciale". E, secondo alcuni, andiamo ancora verso il freddo: le posizioni reciproche della Terra e del Sole sono simili a quelle di 116.000 anni fa, quando sul nostro pianeta era al termine il periodo interglaciale che precedette l'ultima avanzata dei ghiacci. Non è da escludere che la storia si ripeta, e che entro 5 mila anni i ghiacciai tornino a occupare vaste superfici continentali.

Per un pizzico di sale. Altri scienziati sono ancora più pessimisti e ipotizzano che una glaciazione potrebbe iniziare addirittura entro 2-3 secoli, come conseguenza del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici. L'aumento di temperatura dell'atmosfera potrebbe infatti causare piogge di tale entità alle latitudini medio-alte da "dilavare" la Corrente del Golfo (che parte dai tropici, sale verso il Polo, sprofonda nell'alto Atlantico e ritorna ai tropici scorrendo sul fondo dell'oceano, in un ciclo che dura 2.500 anni), facendone diminuire il tasso salino. Se ciò si verificasse il "fiume oceanico" verrebbe interrotto, facendo cessare l'afflusso di calore dai tropici. Alcuni ricercatori dell'Università di Potsdam, in Germania, stimano che possa bastare un aumento annuo dell'1% della CO2 in atmosfera, perché nel giro di un secolo la Corrente del Golfo si interrompa. Così i ghiacci comincerebbero a estendersi sempre più a sud, fagocitando anche metropoli come Londra e New York.

Vette nude. Non sappiamo se le cose andranno per davvero così, ma intanto possiamo vedere che cos'è successo nel lontano passato. Sappiamo, per esempio, che negli ultimi 2 milioni di anni ci fu almeno un momento in cui i nostri ghiacciai alpini si estendevano per 150.000 km quadrati, una superficie che corrisponde a circa la metà dell'Italia. Le lingue di ghiaccio più avanzate scesero fino a 100 metri sul livello del mare, le nevi perenni cominciavano 1.400 metri più in basso di oggi e la superficie degli oceani era di 120 metri sotto il livello attuale.

Stranamente, la glaciazione alpina risparmiò le cime più alte, che emergevano nude dalla coltre di ghiacci. Lo si è intuito dallo studio delle valli a forma di "U" scavate dai ghiacciai, dalle morene (i depositi del materiale eroso dai ghiacci), dalle rocce striate ("unghiate" lasciate dal ghiaccio sulle rocce in seguito all'attrito con esso) e dai massi erratici (rocce trasportate per chilometri dai ghiacciai).

Alla latitudine dell'Italia, sotto i 500 m i ghiacciai lasciavano il posto a steppe che si estendevano per gran parte del continente europeo. Il territorio era brullo, e la foresta non si estendeva oltre l'Africa settentrionale e il Medio Oriente.

Durate irregolari. Le glaciazioni sono state studiate per la prima volta in modo approfondito nel Centro Europa, in particolare lungo alcuni fiumi che confluiscono nel Danubio e i cui nomi divennero quelli delle diverse glaciazioni. Si è così scoperto che la più antica a noi nota iniziò un milione e 500 mila anni fa (forse preceduta da un'altra ancora più antica) e venne chiamata Donau, mentre la più recente, terminata circa 10.500 anni fa prese il nome di Würm. Quest'ultima sembra sia stata la più fredda, con una temperatura media inferiore di circa 10 °C rispetto a oggi. Le altre glaciazioni vennero classificate come Gunz, Mindel e Riss.

Non c'è nessuna uniformità in questi fenomeni: né la durata, né l'estensione, né la temperatura media. La Donau, per esempio, interessò le Alpi per quasi mezzo milione di anni, mentre la Würm durò non più di 65 mila anni. Inoltre vi furono intervalli "caldi", con estesi periodi di ritiro dei ghiacciai, tant'è che si parla di periodi interglaciali all'interno delle glaciazioni stesse. È soprattutto per questo che oggi la classificazione europea non viene più usata e al suo posto è stato introdotto il concetto di "fase", intendendo un periodo di espansione o ritiro dei ghiacciai in una certa area geografica.

Rinoceronte lanoso. Oggi nessuno mette più in dubbio che vi siano state "ere glaciali" sul pianeta, ma il primo che ne parlò - lo svizzero Louis Agassiz, a metà Ottocento - venne quasi ridicolizzato dai colleghi scienziati. Le prove inoppugnabili, infatti, arrivarono solo molti anni dopo e la principale viene dal mare. Esiste un isotopo dell'ossigeno (cioè una sua variante che nel nucleo ha 10 neutroni anziché 8), che nell'oceano è più abbondante nei periodi freddi, perché l'ossigeno normale è più leggero ed evapora di più: quando fa freddo, l'acqua evaporata va in parte a formare ghiaccio e l'oceano si arricchisce dell'isotopo più pesante.

Gli atomi di ossigeno vengono poi catturati dagli organismi che formano il plancton (i foraminiferi) e usati per fabbricare il guscio: alcuni gusci, conservati nei sedimenti come fossili, hanno così permesso di risalire alla concentrazione del tipo di ossigeno e, di conseguenza, alla temperatura media del periodo, confermando l'alternanza di periodi caldi e freddi.

Un'ulteriore conferma delle glaciazioni viene dalle carote di ghiaccio estratte in Antartide e in Groenlandia, il cui studio ha permesso di ricostruire il clima fino a 400 mila anni fa. Ciò è stato possibile grazie alle analisi dell'ossigeno contenuto nelle bolle d'aria intrappolate negli strati di ghiaccio. Infine vi sono testimonianze lasciate dagli uomini stessi: grazie a dipinti rupestri come quelli di Lascaux o di Chauvet in Francia, o di Altamira in Spagna, si è potuto per esempio scoprire che il rinoceronte Coelodonta antiquitatis era ricoperto di una folta pelliccia. E lo scioglimento dei ghiacci in Siberia continua a riservare sorprese dal passato: a fine 2020 è tornato alla luce un rinoceronte lanoso perfettamente conservato.

Gelo da fotosintesi. Ci sono tracce di glaciazioni anche più antiche di quelle di cui abbiamo parlato. La più vecchia sembra essersi verificata tra 2,5 e 2 miliardi di anni fa. A darle il via fu forse l'innescarsi della fotosintesi negli organismi primitivi: la sottrazione di anidride carbonica dall'atmosfera faceva diminuire l'effetto serra, e l'emissione di ossigeno (che in alta quota andava a formare ozono) produceva uno schermo all'energia solare in arrivo. Questi due elementi fecero raffreddare il pianeta fino alla formazione di calotte polari che si estesero in breve tempo su vaste aree della Terra. La testimonianza principale di questa antica glaciazione si può osservare vicino al lago Huron, tra il Canada e gli Usa, in una successione di strati rocciosi, chiamati "Formazione di Gowganda".

Si tratta di sedimenti lacustri che si originano dove arriva l'acqua di fusione dei ghiacciai. Durante l'estate infatti, la maggiore quantità d'acqua trasporta materiale più grossolano rispetto all'autunno. In inverno la fusione dei ghiacci è nulla e quindi la deposizione si arresta. La successione è generalmente molto evidente ed è così precisa che, per esempio, si è potuto calcolare che in Svezia la fine dell'ultima glaciazione iniziò esattamente 10.182 anni fa. Altri minerali testimoniano una seconda importante glaciazione che iniziò circa 800 milioni di anni or sono. Periodi freddi, più o meno intensi si sono avuti anche dal Paleozoico a oggi, ma una potrebbe essere considerata la "madre di tutte le glaciazioni": quella che si verificò tra 700 e 600 milioni di anni fa. La Terra divenne una vera palla di neve e rimase tale per circa 10 milioni di anni.

Snowball Earth: la Terra palla di neve.
Snowball Earth: la Terra palla di neve. Circa 700 milioni di anni fa le terre emerse erano piccole e concentrate all'equatore. Questo fece sì che dal mare evaporassero enormi masse d'acqua: ricadendo come pioggia, l'acqua rimosse dall'atmosfera grandi quantità di CO2. L'effetto serra naturale diminuì al punto da dare inizio alla formazione delle calotte polari: il calore del nucleo non permise che gli oceani congelassero del tutto, ma una temperatura media di -50 °C fece sì che il ghiaccio che li copriva fosse spesso anche 1 km. © focus

Orbite e correnti. Che cosa innesca una glaciazione? Oggi si ipotizzano cause diverse, sia terrestri sia astronomiche.

Le prime sono legate alla tettonica delle zolle. Gli spostamenti delle zolle continentali possono infatti modificare la circolazione delle correnti, causando variazioni climatiche globali. L'atmosfera, poi, ha giocato un ruolo determinante trattenendo o eliminando l'anidride carbonica, gli ossidi di azoto e altri elementi emessi dalle eruzioni vulcaniche, che incrementano o diminuiscono l'effetto serra. Le cause astronomiche sono invece tre: l'eccentricità dell'orbita (cioè il suo essere più o meno schiacciata), che varia con un periodo di 96 mila anni; la precessione degli equinozi (cioè il movimento "a trottola" dell'asse terrestre), che fa un giro completo in 21 mila anni; e infine l'inclinazione dell'asse terrestre che varia da 21° 39' a 24° 36' in 41 mila anni.

Tre possibili cause astronomiche delle glaciazioni.
Tre possibili cause astronomiche delle glaciazioni. 1) L'orbita terrestre diventa più o meno "schiacciata" seguendo un ciclo di circa 96 mila anni; 2) varia l'inclinazione dell'asse di rotazione terrestre; 3) varia la direzione dell'asse (il nord astronomico) in un ciclo di 21 mila anni. © Focus

Uno specchio di polvere. Questi elementi non influenzano tutti allo stesso modo il clima del pianeta, ma lo scienziato serbo Milutin Milankovitch scoprì che in una certa combinazione possono innescare un periodo glaciale. James Zachos dell'Università della California (Usa) ha scoperto che una piccola glaciazione avvenuta 23 milioni di anni fa coincide con una particolare combinazione della posizione della Terra rispetto al Sole: «In quel periodo si ebbe il minimo dell'eccentricità dell'orbita con la minima inclinazione dell'asse terrestre. Una condizione che, secondo Milankovitch, avrebbe innescato una glaciazione, e così è stato». L'astronomo britannico Fred Hoyle (1915-2001) aveva fatto anche un'altra ipotesi, ritenuta attendibile: l'impatto di un asteroide potrebbe immettere nell'atmosfera moltissima polvere, la quale anziché contribuire all'effetto serra farebbe da schermo per la luce solare, al punto da innescare la crescita dei ghiacciai polari.

19 dicembre 2021 Luigi Bignami
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