Solo una minuscola frazione del totale del carbonio terrestre si trova sotto la superficie, negli oceani, in atmosfera e nel suolo. Le emissioni annuali di carbonio dovute alle attività antropiche sono decine di volte più abbondanti di quelle prodotte dalle attività vulcaniche. E un cambiamento nella composizione dei gas emessi da un vulcano può annunciare una sua prossima eruzione con un anticipo di ore, giorni, persino mesi.
Sono i dati che emergono da una serie di studi pubblicati sulla rivista scientifica Elements, il risultato dei primi 10 anni del programma di ricerca Deep Carbon Observatory (DCO) della National Academy of Sciences statunitense: obiettivo di questa collaborazione che include biologi, fisici, chimici e geologi di tutto il mondo, è promuovere una maggiore comprensione del carbonio, mattone della vita e dei processi energetici terrestri. A partire dalla sua distribuzione: qui di seguito, una sintesi delle principali conclusioni raggiunte nella prima decade del progetto.
Quanto, e dove. La migliore stima della quantità totale di carbonio conservata sulla Terra è, attualmente, 1,85 miliardi di gigatonnellate (1,85 x 1 miliardo x 1 miliardo di tonnellate). Di queste, soltanto 43.500 gigatonnellate (due decimi dell'1% del totale) si trovano sopra la superficie, negli oceani, nel suolo e nell'atmosfera - il resto è nel mantello e nel nucleo. La maggior parte del carbonio superficiale (l'85,1% del totale, circa 37.000 tonnellate) è conservato nelle profondità oceaniche; il 6,9%, nei sedimenti marini; il 4,6% nella biosfera terrestre; il 2% negli oceani superficiali, e l'1,4% in atmosfera.
Il contributo dei vulcani, e quello dell'uomo.
La quantità annuale di CO2 emessa dai vulcani e da altri processi geologici ammonta a 300-400 milioni di tonnellate (da 0,3 a 0,4 gigatonnellate). Vulcani e regioni vulcaniche (faglie, laghi vulcanici, dorsali medio oceaniche, geyser) sono responsabili, da soli, di 280-360 milioni di tonnellate di CO2 emessa all'anno, mentre altri processi geologici, come il riscaldamento delle rocce calcaree di alcune catene montuose, possono causare pericolose concentrazioni di CO2 vicino al suolo, sufficienti a soffocare il bestiame.
In base alle stime del DCO, circa 400 dei 1.500 vulcani che sono stati attivi negli ultimi 11.700 anni continuano ancora oggi a emettere CO2. Altri 670 potrebbero produrre emissioni diffuse. Circa 200 sistemi vulcanici hanno emesso quantità misurabili di CO2 tra il 2005 e il 2017. In alcuni casi si è trattato di super vulcani come lo Yellowstone, o il Rift dell'Africa orientale (un database aggiornato sulle emissioni di CO2 di origine vulcanica e non, è disponibile su Mapping Gas Emissions).
Le emissioni annuali di carbonio dovute ad attività antropiche come l'utilizzo di combustibili fossili o gli incendi nelle foreste sono da 40 a 100 volte superiori al totale annuale di CO2 emessa dai vulcani.
Sorpresi dall'inatteso risultato di questa prova di forza tra grandi vulcani e piccoli uomini? È naturale, eppure non è una novità: ecco, per approfondire, un articolo del 2016 pubblicato sulle pagine di Climate.gov (NOAA).
Equilibri e catastrofi. Il ciclo profondo del carbonio terrestre ha garantito, nel tempo, una certa stabilità della CO2 atmosferica, fatta eccezione per alcuni catastrofici eventi, come cinque mega eruzioni avvenute negli ultimi 500 milioni di anni.
In queste occasioni sono stati emessi un milione o più di km quadrati di magma in un arco temporale compreso da poche decine di migliaia di anni e fino a un milione di anni. Eventi del genere immettono enormi volumi di carbonio in atmosfera, causano rapidi fenomeni di riscaldamento globale, l'acidificazione degli oceani, il cambiamento dei cicli idrogeologici e troppo rapide trasformazioni degli habitat, che sfociano in estinzioni di massa.
Simili catastrofi possono essere causate anche dall'impatto di asteroidi, come quello di Chixculub, 66 milioni di anni fa circa: il bolide che decretò la scomparsa del 75% di piante e animali terrestri, inclusi i dinosauri, rilasciò tra le 425 e le 1.400 gigatonnellate di CO2, causando un improvviso squilibrio nella composizione dei gas atmosferici, un transitorio evento di raffreddamento seguito da un periodo di intenso riscaldamento.
Negli ultimi 100 anni, le emissioni antropiche di carbonio dovute alla combustione di carbone e petrolio hanno superato di 40-100 volte quelle dovute a eventi geologici.
Prima di un'eruzione.
Le alterazioni nella quantità di carbonio emessa dai vulcani possono essere sfruttate per prevedere l'occorrenza di future eruzioni. Un cambiamento nella composizione di gas vulcanici da una prevalenza di anidride solforosa (SO2) a una di anidride carbonica (CO2) è stato sistematicamente osservato nelle ore e nei mesi che precedono un'eruzione vulcanica.
I sensori del DCO hanno osservato queste alterazioni, tra gli altri, nei vulcani Poas (Costa Rica), Etna, Stromboli (Italia), Villarica (Cile), Masaya (Nicaragua), Kilauea (Hawaii) e Redoubt (Alaska). Le emissioni di gas dei vulcani potrebbero quindi fornire un nuovo strumento di previsione del rischio, accanto a quelli che già si utilizzano (come l'osservazione delle deformazioni del suolo). La collaborazione DCO gestisce una trentina di stazioni di monitoraggio continuo dei gas vulcanici in 5 continenti.