Quello di un'ultima coppia umana scampata all'Armageddon, o anche di un'umanità ridotta a pochi individui, è uno scenario comune di molti film post-apocalittici. Quanto è realistico che due novelli "Adamo ed Eva" possano ripopolare un'intero pianeta? La risposta sintetica è questa: non è realistico, non si sfugge alle leggi della genetica.
Comunque sia, la questione è di interesse scientifico: ne dibatte per esempio chi si occupa di conservazione degli animali e delle specie vicine all'estinzione, ma anche chi studia missioni spaziali di lunga durata e la possibilità di insediare (con successo) coloni su altri pianeti.
Il gioco dei "se". Volendo compiere uno sforzo di immaginazione, la prima generazione nata dalla coppia sarebbe di fratelli, la seconda di cugini. Se anche si superasse il tabù dell'incesto, i risultati di queste prime unioni sarebbero a dir poco pericolosi dal punto di vista genetico.


Uno studio condotto in Cecoslovacchia tra il 1933 e il 1970 ha evidenziato che il 40% dei bambini nati da genitori imparentati in primo grado aveva un handicap grave, mortale nel 14% dei casi.
Doppio rischio. Ognuno di noi eredita infatti due copie di ogni gene, uno da ciascuno dei genitori. Molte malattie dovute a mutazioni genetiche non si manifestano a meno che entrambi i geni non siano portatori dello stesso difetto. Se i genitori sono geneticamente affini ci sono più probabilità che il corredo genetico di partenza sia simile, e che varianti che di norma rimarrebbero latenti (recessive) si manifestino perché recate nel DNA sia del padre sia della madre.


Un esempio di questo tipo di deriva genetica è stato studiato sull'isola di Pingelap, nel Pacifico occidentale. Nel 1775 un tifone spazzò via il 90% della popolazione, lasciando soltanto una ventina di superstiti. Il loro tentativo di ripopolare l'isola ha aperto la strada all'acromatopsia, una sorta di cecità ai colori che si trasmette per via genetica. Di norma si manifesta in un americano su 33.000: sull'isola, che oggi ospita meno di 400 abitanti, ne soffre un decimo della popolazione.
L'esempio dei reali. Un modo per contenere i danni sarebbe prevedere molti figli per ogni coppia, in modo che almeno alcuni risultino sani e possano perpetrare la specie. Ma anche così, che cosa accadrebbe nel corso delle generazioni? Le cose non tenderebbero a migliorare, come dimostrano le vicende di molte famiglie reali europee.
Dopo 9 generazioni di matrimoni tra consanguinei per rinforzare le alleanze, gli Asburgo di Spagna videro la nascita di Carlo II, venuto al mondo con una lunga serie di disabilità fisiche e mentali.
Le sue origini familiari erano talmente "ingarbugliate" che il coefficiente di consanguineità - la quota di patrimonio genetico che un individuo riceve, identico, sia dal padre sia dalla madre in virtù della loro parentela - era maggiore di quello di un individuo figlio di due fratelli.
Poco fertili... Uno degli effetti più seri dell'accoppiamento fra individui geneticamente affini è la diminuzione della qualità degli spermatozoi e, con essa, della fertilità. Nei pappagalli neozelandesi kakapo, rimasti ormai al numero sparuto di appena 125 esemplari, la percentuale di uova che non si schiudono è salita dal 10% al 40%.


... e più esposti ai pericoli. La diversità genetica protegge inoltre la specie dalle sfide per la sopravvivenza messe in campo dall'ambiente.
Le unioni con i Neanderthal diedero ai nostri antenati una spinta in più, dal punto di vista genetico, potenziando il loro sistema immunitario.
Una bassa diversità genetica finirebbe per indebolire questa difesa, rendendoci vulnerabili a minacce che avevamo dimenticato; le stranezze fisiche espresse da caratteri prima recessivi diverrebbero inoltre tali da far assumere alla specie umana sembianze diverse da quelle che conosciamo.
Un esercito più numeroso. Se una coppia non basta, quanti individui servirebbero allora per garantire una nuova popolazione di terrestri sani? Secondo alcune stime, dai 500 ai 5.000 individui, per sopperire alle perdite genetiche casuali che avvengono tra generazione e generazione.
Tuttavia nel caso di un viaggio spaziale, per esempio verso Proxima Centauri (a 4,2 anni luce da casa), potrebbero servirne di più. Per scongiurare incroci tra consanguinei e riequilibrare l'elevato tasso di mortalità messo in conto per i viaggi spaziali, una missione intergenerazionale dovrebbe trasportare almeno 10 mila individui e fino a 40 mila, meglio se suddivisi in più astronavi, nel caso qualcuna venisse persa durante il viaggio.