Scienze

Dove è finito Giulio Cesare?

"Tutto scorre" sosteneva il filosofo grego Eraclito. “Nulla si crea nulla si distrugge” aggiungeva più di 2.000 anni dopo lo scienziato Antoine-Laurent de Lavoisier. Avevano ragione: la natura ricicla tutto. Un esempio? Prendete Giulio Cesare: i miliardi di miliardi di miliardi di atomi che componevano il suo corpo sono ancora tra noi. Qualcuno più vicino di quanto immaginiamo.

Mentre state leggendo questo articolo ci sono molte probabilità che minuscoli frammenti di Giulio Cesare galleggino nell’aria attorno a voi, rimbalzino sullo schermo del vostro smartphone o computer, per poi magari prendere il volo con un colpo di vento e cominciare un viaggio di migliaia di chilometri nell’atmosfera. Tra una decina di giorni potrebbero ricadere sul porto di Melbourne, in Australia, o nell’oceano Indiano. E forse riprenderanno vita negli occhi di un pesce.

Gli atomi, le particelle elementari che costituiscono la materia e tutti gli esseri viventi sono, in un corpo umano, molti di più del migliaio di miliardi di cellule che lo compongono. Nel corpo di Giulio Cesare si può per esempio presumere che ce ne fossero, più o meno, 15 miliardi di miliardi di miliardi (1,5 x 1028).

Atomi vaganti. A duemila anni dal delitto più famoso della storia antica questi atomi sono ancora in circolazione. Si sono mescolati ad altri per creare nuove forme di vita o si sono fissati nelle rocce o nel terreno. E, in generale, la probabilità che siano nelle nostre vicinanze è molto alta. Ma dove si trovano esattamente? Quante probabilità abbiamo di respirarne, berne, toccarne qualcuno? Tenuto conto della complessità dei cicli naturali, la valutazione si può fare ovviamente soltanto in modo approssimato, facendo ampio ricorso al calcolo delle probabilità e a un po’ di fantasia. Si tratta infatti di maneggiare numeri enormi.

Cesare in un bicchier d'acqua. Facciamo un esempio. Nel metro cubo di aria in cui siete immersi mentre navigate il sito di Focus ci sono circa dieci milioni di miliardi di miliardi di atomi (1025).

Quanti di essi appartenevano a Cesare? Tenendo conto del numero di atomi di Cesare, del numero di metri cubi di aria (e della loro densità media) esistenti nell’atmosfera, si può arrivare a concludere che ce ne sono almeno dieci milioni. Sono gli atomi di carbonio che facevano parte dei suoi grassi, degli zuccheri e degli acidi organici contenuti nelle sue cellule, in totale 1026 atomi, che si sono trasformati in anidride carbonica (il gas dell’effetto serra) dopo il rito funebre: un rogo solenne in cui venne bruciato il cadavere e le offerte di vestiti e gioielli provenienti dalla nobiltà romana. In un bicchiere d’acqua invece potremmo trovare almeno tre atomi di Cesare.

Ogni uomo infatti è formato principalmente d’acqua, dunque di idrogeno e ossigeno. Cesare aveva 1028 atomi di idrogeno e 1026 atomi di ossigeno. L’idrogeno è l’elemento più abbondante: costituisce il 90 per cento di tutti gli atomi dell’universo e il 15 per cento di quelli presenti sul nostro pianeta.

La maggior parte degli atomi di idrogeno si trovano legati all’ossigeno, sotto forma di acqua. L’ossigeno è invece l’elemento più abbondante della Terra: da solo costituisce il 50 per cento del peso del pianeta, circa 3 mila miliardi di miliardi di tonnellate. Cesare ne conteneva circa 14 chili. C’è dunque una probabilità su centomila miliardi di miliardi che il prossimo atomo di ossigeno che berremo (l’acqua è costituita da ossigeno e idrogeno) sia appartenuto a Cesare. Ma, dato che di atomi di ossigeno ne beviamo 1024 a bicchiere, è molto probabile che ci sia già capitato di bere l’imperatore romano più volte.

Tra gli elementi più abbondanti di Giulio c’era anche l’azoto (circa 1025 atomi), che è utilizzato per la sintesi delle proteine. Sette miliardi di tonnellate di proteine vengono fabbricate ogni anno sulla Terra. C’è una probabilità su un miliardo di miliardi che qualcuna di esse contenga un atomo di azoto appartenuto a Giulio Cesare. Come a dire che potremmo mangiare Cesare ogni milione di bistecche.

Rame imperiale. Infine Cesare era costituito da una manciata di minerali presenti in piccole quantità, tre chili in tutto. Molti di essi sono rimasti a Roma e dintorni. Il potassio per esempio: è contenuto nei succhi cellulari degli esseri viventi, ma al momento della morte le cellule si spaccano e lo liberano. Dopo 20 giorni il 95 per cento è già stato riciclato da batteri, funghi e piante che, com’è noto, non si spostano molto. È molto facile quindi che le piante dei giardini di Villa Borghese, a Roma, vicini a Campo Marzio, dove venne arso il corpo, contengano atomi di potassio di Cesare. Dovrebbero essere ancora nell’area laziale anche il fosforo, il magnesio, il rame: finiti nel suolo e immobilizzati nell’argilla, hanno al massimo cambiato posizione nelle tante ricostruzioni dei quartieri romani.

Niente si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Gli atomi insomma non scompaiono. La loro vita continua all’infinito. Il nostro pianeta è come un’astronave in viaggio verso i confini dell’universo. Non farà più rifornimento, dunque bisogna riciclare all’infinito il materiale imbarcato alla partenza. Come? Trasformandolo chimicamente grazie all’energia del Sole.

La velocità di riciclo dipende dall’ ambiente: è più alta se acqua e luce sono abbondanti e la temperatura è elevata. Nella foresta tropicale in sei mesi la sostanza organica morta ritorna negli organismi viventi. Se Giulio Cesare fosse nato ai tropici i suoi atomi avrebbero già fatto la spola tra la vita e la morte almeno 4 mila volte.

A Roma invece un ciclo completo richiede dai 10 ai 12 anni. Con qualche eccezione: qualsiasi elemento può essere temporaneamente sottratto al ciclo. Questo accade per esempio per il carbonio, che si accumula per milioni di anni sotto forma di carbone, petrolio e torba. Ma poi è sufficiente accendere il motore dell’auto e bruciare benzina per rimetterlo in circolo.

20 ottobre 2017 Mariella Bussolati
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