Ci sono differenze nel cervello tra uomini e donne? E diversità nelle loro capacità cognitive? È una disputa che si trascina da tempo. A immergersi in questa discussione piena di sfumature e anche di insidie è un articolo sulla rivista Nautilus, che approda a un interessante punto di vista.
Protagonista della storia è Sheryl Sorby, docente di ingegneria alla Ohio State University e studiosa di differenze di genere nell’ambito dell’educazione. Sorby racconta la sua vicenda personale: bravissima a scuola in tutte le materie, scopre con sconcerto e umiliazione di essere quasi incapace di svolgere alcuni esercizi di geometria che per i suoi compagni di corso maschi presentano pochissime difficoltà.
Predisposizioni diverse. Il suo caso sembra quasi l’incarnazione dello stereotipo secondo cui le donne non sono brave nei compiti spaziali per cui gli uomini vengono considerati di solito più dotati, come orientarsi, leggere una mappa, visualizzare la rotazione di figure nello spazio.
In effetti, mentre gli studi più recenti di neuroscienze e psicologia non hanno trovato differenze significative da un punto di vista anatomico tra il cervello di uomini e donne, la cognizione spaziale, alla base di capacità come quella di ruotare mentalmente figure geometriche per rappresentarsele nello spazio, è uno dei pochi settori in cui le donne sembrano avere realmente più difficoltà degli uomini (mentre a loro volta i maschi sarebbero meno portati per compiti linguistici). E questa capacità, importante soprattutto in certi settori della matematica e in compiti di geometria, secondo l’ipotesi (controversa) di alcuni studiosi potrebbe in parte spiegare le differenze tra maschi e femmine nella predisposizione per certi tipi di carriere, come quelle nelle varie branche dell’ingegneria.
Colpa del testosterone? I punteggi inferiori delle femmine rispetto ai maschi nei test che misurano la cognizione spaziale sono stati osservati in molti paesi e diverse culture, a significare che ci deve essere probabilmente una radice biologica in questa differenza.
Secondo alcuni studi, a influenzarla potrebbero essere fattori ormonali, in particolare il testosterone. In effetti, è stato visto che le bambine nate con una particolare malattia di origine genetica, la iperplasia surrenale congenita, che comporta una maggiore produzione di ormoni maschili, riescono meglio in compiti di abilità spaziali rispetto alle sorelle non affette da questo disturbo. L'ipotesi è che gli ormoni influiscano sullo sviluppo di aree del cervello o circuiti neurali importanti per la capacità di orientarsi nello spazio.
Non è solo la biologia. Nonostante questi effetti siano stati più volte osservati, la storia non è così semplice come potrebbe apparire: l’opinione della maggior parte degli studiosi è che le differenze, anche se presenti, siano minime.
A pesare nello sviluppo delle abilità spaziali nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza diventerebbero, via via che i bambini crescono, i fattori culturali. Per dirla in altre parole, una minima differenza “biologica” reale si accresce nel corso dello sviluppo per altri motivi. Consciamente o inconsciamente, mentre i maschietti vengono incoraggiati a rinforzare con i giochi e le altre attività la loro “dote” di partenza, le bambine verrebbero indirizzate verso attività che non le aiutano a sviluppare quelle abilità spaziali in cui, forse, già in partenza sono leggermente inferiori.
Migliorare si può. Sheryl, la protagonista della storia, testarda, si butta a anima e corpo nello studio di quel corso che l’aveva messa tanto in difficoltà, si laurea, diviene professore di ingegneria meccanica, e insegna proprio il corso che da ragazza l’aveva quasi fatta rinunciare. Ma il ricordo di quel momento di crisi non l’abbandona. Nel corso degli anni, nota che diverse delle allieve sperimentano le sue stesse difficoltà. “Ho migliorato le mie capacità spaziali quando ero ormai adulta” ha raccontato. ”È qualcosa su cui possiamo intervenire”.
E basta poco. Con una sua collega, ha l’idea di creare un corso per potenziare la cognizione spaziale: un programma di 15 ore, in cui usando modellini, disegni e molta pratica, con esercizi che collegano il movimento e i gesti del corpo alla visualizzazione di oggetti nello spazio, le studentesse si allenano su questa abilità. I risultati sembrano confortanti: l’abbandono del corso di laurea in ingegneria da parte delle donne diminuisce di diversi punti percentuali. “Se normalmente, su 100 donne del corso di ingegneria, ci si aspetta che se ne laureino 50, con questo intervento si arriva a 80” ha detto Sorby, che sta organizzando alcuni studi per capire se questo genere di allenamento produce dei cambiamenti osservabili nel cervello.
La lezione da trarne: quindici ore di esercizi bastano per far laureare molte più donne. Ammesso che le differenze di genere nelle abilità spaziali esistano, non sono una barriera fissa o insormontabile.