Dal punto di vista chimico i diamanti sono uno dei materiali più semplici che si trovano in natura: sono composti esclusivamente da atomi di carbonio disposti in modo tale da formare la preziosa e ben nota struttura cristallina.
Ciò che rende queste pietre così preziose è la rarità delle condizioni ambientali che permettono al carbonio di trasformarsi in diamante: il processo avviene nelle profondità della Terra, all’interno del mantello, dove le temperature sono nell’ordine di migliaia di gradi e la pressione centinaia di migliaia di volte più alta rispetto a quella della superficie.
Brillanti effetti collaterali. Un team di ricercatori tedeschi del Bayerisches Geoinstitut, capitanati da Dan Fros, sta tendando di replicare in laboratorio le condizioni di temperatura e pressione che si trovano nella parte più profonda del mantello per scoprire come si è evoluto il nostro pianeta dal punto di vista geofisico in epoche remote. E nel corso di queste ricerche avrebbero messo a punto un procedimento per sintetizzare diamanti da qualunque elemento organico, burro di arachidi compreso.
Frost è partito dall’ipotesi che, in tempi antichi, le rocce avessero estratto CO2 dagli oceani e l’avessero trasportata in profondità grazie a processi vulcanici e sismici. Qui la pressione avrebbe staccato dalla roccia il gas che, una volta libero, sarebbe stato privato dell’ossigeno grazie a reazioni chimiche con il ferro presente nell'ambiente. Le alte temperature e le alte pressioni avrebbero quindi trasformato il carbonio in diamanti.
Supercompressioni. I ricercatori tedeschi hanno realizzato due dispositivi che permettono di ricreare in laboratorio le condizioni estreme delle profondità della Terra: il primo è un pistone montato all’interno di una fornace industriale che può comprimere piccoli cristalli a pressioni fino a 280.000 volte più alte di quella atmosferica. «È come essere a 800-900 km di profondità» ha spiegato Frost alla BBC: «qui i cristalli si trasformano, diventando più densi e resistenti».
La seconda apparecchiatura è composta da due diamanti che comprimono il nuovo cristallo a 1,3 milioni di atmosfere, trasformandolo così in diamante. Mentre la pietra è ancora nella macchina i ricercatori studiano la propagazione del suono al suo interno e la confrontano con quella registrata dai sismografi all’interno del mantello. In questo modo possono sapere quanto la composizione dei due elementi è simile.
Diamanti gratis? Nel suo processo Frost è riuscito insomma a trasformare "l’aria… in diamanti". E dato che il carbonio è presente in ogni composto organico, ha provato ad utilizzare come elemento di partenza il burro di arachidi, il suo snack preferito, anche se l'idrogeno contenuto all'interno rende il processo non particolarmente efficiente.
E comunque, anche nelle condizioni migliori, per ottenere un diamante di due millimetri di diametro sono necessarie diverse settimane.
La tecnica sembra promettente non tanto per la realizzazione di gioielleria sintetica, quanto per la messa a punto di superconduttori di nuova generazione e di diamanti super duri, più duri di quelli naturali, da impiegare in applicazioni industriali.
Ti potrebbero interessare