Partito il 20 novembre 2023 dalla costa di Hercules Inlet, l'ultraciclista Omar Di Felice avrebbe dovuto attraversare l'Antartide in bicicletta, compiendo un percorso di oltre 1.500 chilometri per raggiungere il Polo Sud geografico e poi il Leverett Glacier, e provando infine a rientrare sempre passando dal Polo Sud. L'impresa si è però interrotta a inizio gennaio, per via di condizioni meteo avverse e inusuali. Per Omar è stata la seconda volta, dopo un tentativo analogo interrotto lo scorso anno per gravi problemi familiari.
I 716.5 chilometri realizzati sono comunque la seconda distanza più lunga mai percorsa continuativamente da un ciclista in Antartide. Si tratta dunque di un successo, ma nell'intervista Omar ci spiega perché non ci riproverà.
Sente di aver realizzato un sogno o di aver mancato un obiettivo?
Inizialmente lo scopo geografico era il raggiungimento del Polo Sud; ben presto, però, questo si è tramutato in obiettivo ben più grande: attraversare l'Antartide e cercare di capire fin dove fosse possibile arrivare in sella a una bicicletta, che è comunque un mezzo poco adatto a questo tipo di traversata. Sinceramente essere riuscito a percorrere una distanza così lunga e a spendere ogni singolo giorno che mi è stato concesso, per me è la più grande delle soddisfazioni e delle vittorie. Quindi non vedo assolutamente un obiettivo mancato. Piuttosto torno a casa con un'esperienza e un'avventura che mi hanno visto vivere circa 50 giorni in quello che è considerato a ragion veduta il luogo più inaccessibile del Pianeta.
La sua resta un'impresa assolutamente straordinaria. Ci proverà nuovamente?
La bicicletta è troppo soggetta alle condizioni della neve e del meteo, elementi che non sono preventivabili, che non dipendono dalla preparazione atletica né da determinati dettagli tecnici. Quindi, a oggi, penso di essere riuscito a fare ben più di quello che era il mio massimo possibile. Non avendo rimpianti, non avendo cose che potrei cambiare o modificare, so che ogni ritorno in Antartide sarebbe comunque soggetto fortemente a condizioni non prevedibili. A oggi vedo chiuso, dunque, questo capitolo della mia vita professionale. È stato comunque un grande traguardo della mia carriera e non sento di aver lasciato qualcosa in sospeso. Non vedo però motivi per dover tornare ad ogni costo.
Lei compie queste imprese anche con obiettivi divulgativi. Che cosa è emerso da questa esperienza?
Non si può pensare di andare in Antartide e accorgersi a occhio nudo dei cambiamenti che lo stanno affliggendo.
C'è bisogno del supporto dei dati perché personalmente, se mi dovessi basare su quello che ho visto, è ovvio che mi sia trovato a pedalare in un luogo inospitale, freddo, pieno di ghiaccio e di neve. Quello che ho visto sarebbe insufficiente a valutare gli effetti dei cambiamenti climatici: servono i dati della scienza a supporto delle nostre esperienze.
Sicuramente, analizzandoli e approfondendo il discorso, si può vedere che, anche in Antartide, il 2023 sia risultato l'ennesimo anno più caldo e, soprattutto a dicembre, ci sia stata una temperatura media sicuramente più alta di quella prevista dalle medie stagionali. Nello specifico mi sono trovato a dover affrontare una serie di precipitazioni nevose molto abbondanti in un luogo in cui solitamente sono invece molto ridotte in questo periodo. Questo si è tradotto in una difficoltà ulteriore, considerando la già complessa superficie per una bicicletta (un mezzo inusuale se rapportato ai tradizionali sci).
Per questo ci tengo a ribadire quanto sia importante affidarsi a ciò che la scienza e gli esperti ci dicono: la nostra percezione non può bastare. Con il progetto divulgativo Bike to 1.5°C cerco di dare spazio e voce agli esperti e agli scienziati attraverso interviste e approfondimenti, se possibile anche durante l'impresa, oppure dopo, come in questo caso.