Forse ne avrete sentito parlare nei giorni scorsi come di una scoperta epocale, in grado di riscrivere la storia dell’evoluzione dell’uomo in modo radicale: in Germania sono stati trovati due denti molto ben conservati che apparterebbero a un primate vissuto nel nord Europa dai 9 ai 10 milioni di anni fa.
I titoli dei giornali, però, sono andati un po' troppo in là, rispetto a quello che pensa la maggior parte dei paleoantropologi di tutto il mondo affermando che la scoperta "riscrive la storia dell'uomo". In realtà non è così.
Ma vediamo perché si è arrivati a tanto. Il tutto parte dallo studio di due denti - un canino e un molare - ben conservati e dal colore caramello che vennero scoperti nel 2016 a Eppelsheim, in Germania, e che appartengono a un primate che visse tra i 9 e i 10 milioni di anni fa
Venerdì 20 ottobre Herbert Lutz, direttore del Museo di Storia Naturale di Magonza, ha pubblicato un articolo sulla rivista online ResearchGate sostenendo che i denti sembrano avere una stretta somiglianza con alcuni ominini africani antenati dell'uomo
In particolare egli sostiene che uno dei due denti assomiglia a quelli di Ardipithecus ramidus e di Australopithecus afarensis, la specie che abbiamo conosciuto grazie al fossile di Lucy.
La tesi di Lutz è che la scoperta sia davvero unica, straordinaria e inspiegabile. E molti giornali hanno abboccato alla suggestione di una scoperta misteriosa concludendo che antenati dell'uomo abitassero l'Europa settentrionale 10 milioni di anni fa. Il che non è vero o quanto meno, non è deducibile da queste scoperte.


Potrebbe trattarsi di “convergenza”. È molto più probabile che i denti appartengano a un primate molto distante dalla nostra linea evolutiva invece che a un esemplare di Australopithecus vissuto in Europa nello stesso momento in cui viveva in Africa. Infatti è possibile che un primate euroasiatico abbia affrontato “pressioni evolutive” simili a quelle cui vennero sottoposti quelli africani, ossia condizioni ambientali ed ecologiche simili nonostante l’enorme distanza e ciò avrebbe portato a denti simili per forma. Un fenomeno abbastanza comune che in paleontologia è definito come “convergenza”.
Secondo gli esperti, dunque, le tesi di Lutz non "ci devono spingere a riconsiderare l'origine africana dell'uomo" come lo stesso ricercatore ha affermato in una intervista. Innanzitutto perché non si devono confondere gli uomini con gli ominini, la famiglia che contiene gli umani e i nostri più diretti antenati, o con gli ominoidi, la famiglia più allargata che contiene ominini, scimpanzé, gorilla e altri primati.
Ci sono infatti prove paleontologiche e genetiche che attestano come l’Homo sapiens lasciò l’Africa non prima di 120.000 anni fa se non addirittura 80.000 anni or sono. Mentre i denti di Eppelsheim si riferiscono a primati che vissero in un periodo 100 volte più antico.

Tanto rumore per nulla? Tra l’altro alcuni ricercatori sono molto critici anche sul fatto che i denti tedeschi appartengano a un ominoide. Di questo parere è Bence Viola, paleoantropologo dell’Università di Toronto ed esperto di dentature dei nostri antenati: i reperti apparterebbero a un primate molto lontano dalla nostra linea evolutiva.
Secondo altri esperti il molare apparterrebbe a un pliopithecoidea, una specie di un ramo primitivo di primati che viveva in Europa e in Asia tra i 7 e i 17 milioni di anni fa e non ha discendenti. Ci sono dubbi anche sul canino. Secondo David Began dell’Università di Toronto infatti, il dente potrebbe appartenere ad un ruminante più che ad un primate.
Lutz tuttavia, dice di essere solo all’inizio della sua ricerca e che presto sottoporrà i denti ai raggi X ad alta risoluzione, una strada che potrebbe portare a ricostruire la dieta del primate e forse a raccontarci qualcosa di più della sua storia.