Quello che pomodoro e peperoncino intrecciano nella pentola del sugo è un connubio antico: le due piante si separarono da un comune antenato 19 milioni di anni fa, per prendere strade diverse. La prima per sviluppare un frutto carnoso, ricco e nutriente, la seconda dando origine a un frutto più difficile da coltivare e con un apparato difensivo in grado di allontanare i piccoli mammiferi interessati a un morso.
I capsaicinoidi sono molecole che attivano sulla lingua i recettori nervosi sensibili al dolore indotto dal calore: ne esistono 23 diversi tipi, e il grado di piccantezza del peperoncino dipende dai geni che ne regolano la produzione. Anche le piante di pomodoro possiedono questi geni, ma non hanno gli strumenti per attivarli.
Se hai i geni, usali. Come spiegato in un articolo di opinione di Agustin Zsögön, scienziato della Federal University of Viçosa in Brasile, pubblicato su Trends in Plant Science, con le moderne tecniche di editing genetico sarebbe teoricamente possibile fare in modo che anche i pomodori esprimano i geni necessari a produrre capsaicina: il team ci starebbe già lavorando, e non per un vezzo culinario, ma per favorire la produzione e l'utilizzo commerciale di una sostanza che, oltre a infiammare le bocche, ha importanti proprietà nutrizionali, antibiotiche, analgesiche e dimagranti.
Attualmente queste qualità non sono abbastanza sfruttate, perché la coltivazione dei peperoncini è un processo complesso. La pianta di pomodoro è meglio conosciuta e molto più facile ed economica da far crescere. Una variazione della Crispr-Cas9 potrebbe favorire attivare questi geni dormienti e trasformare i pomodori in "biofabbriche" di capsaicina, dando origine a frutti inusuali, da trovare negli scaffali dei supermercati.