La speranza è che non si arrivi mai a un conflitto nucleare. Fin dagli anni della Guerra Fredda però agenzie governative, organizzazioni e studiosi hanno emanato linee guida per tutelare la popolazione da questa eventualità. La prima cosa da fare, hanno detto, è mettersi al sicuro in rifugi adeguati.
I migliori sono ovviamente quelli antiatomici: costruzioni sotterranee che sfruttano l'azione schermante del terreno, edificate in cemento armato con pareti spesse dotate di materiali isolanti. E se un rifugio di questo genere non fosse a portata di mano?
No panic. Uno studio ha dimostrato che nel caso in cui su una grande città fosse sganciata una bomba "a bassa resa" (tra 0,1 e 10 chilotoni: meno di Hiroshima che era circa 15 chilotoni) si potrebbero salvare fino a 100.000 persone. A patto che tutti seguano le linee guida.
La prima cosa da fare è difendersi dal cosiddetto fallout nucleare, la ricaduta radioattiva del materiale tossico: nell'esplosione raggiunge anche i 12 chilometri di quota, poi ricade sotto forma di cenere e pulviscolo.
La ricaduta dei materiali inizia entro pochi minuti dall'esplosione. I primi che cadono, detriti e polveri pesanti, sono i più pericolosi. Il resto del materiale più fine è invece trasportato dal vento e inizia a ricadere da una a due ore dopo (fallout secondario). Questa seconda ricaduta può estendersi per decine di chilometri per le successive ore convolgendo anche i villaggi vicini in base all'andamento dei venti.
Al sicuro. In questo arco di tempo è fondamentale mettersi al sicuro. Le prime ore - le più pericolose - vanno trascorse in un nascondiglio, il più possibile schermato. L'ideale, se non c'è un rifugio antiatomico, sarebbe uno scantinato fatto con mattoni spessi o cemento e privo di finestre. Test svolti in passato hanno dimostrato infatti che locali con queste caratteristiche, nei sotterranei di un condominio costruito con mattoni, a cinque piani, riduce l'esposizione radioattiva a 1/200.
Piano B. E se nemmeno un rifugio di questo tipo fosse nelle vicinanze? Che fare? La risposta, secondo lo studio, varia ovviamente in base a quanto si è lontani dall'esplosione. Se si è nel punto nevralgico è bene procedere così: se il rifugio più sicuro è a 5 minuti di distanza, vale la pena correre e mettersi al riparo, trascorrendo qui le ore più "calde" del fallout.
Se invece il rifugio sicuro è più lontano è meglio non correre rischi: il danno minore è quindi nascondersi dove si riesce - anche in una cantina improvvisata - e trascorrere lì fase critica della prima ricaduta dei detriti.
Poi, trascorse un paio d'ore, conviene però spostarsi verso un posto più sicuro dove passare la fase del fallout secondario che dura almeno un paio di giorni.