Nel 946 d.C. il Monte Paektu, la vetta più alta della Corea, eruttò 96 km cubi di detriti in atmosfera, una quantità di polveri 30 volte maggiore di quella che il Vesuvio aveva scagliato, nel 79 d.C., su Pompei ed Ercolano. Per i geologi, si trattò della seconda più potente eruzione vulcanica dopo quella del Monte Tambora in Indonesia, nel 1815.
Ora la montagna coreana al confine con la Cina potrebbe risvegliarsi, e la paura delle conseguenze è riuscita dove la politica ha fallito: Pyongyang ha aperto le porte ad alcuni scienziati occidentali per studiare più a fondo la struttura interna del vulcano.
Permesso interessato. Kayla Iacovino, vulcanologa dell'US Geological Survey di Menlo Park, California, insieme a James Hammond dell'Università londinese di Birkbeck, hanno collaborato con Ri Kyong-Song, dell'Amministrazione per i Terremoti di Pyongyang, per installare una rete di sei sismologi di ultima generazione fino a 60 km dalla montagna che i coreani considerano sacra: secondo la tradizione, avrebbe dato i natali al fondatore del primo regno coreano, nonché al "Caro Leader" Kim Jong-il, padre dell'attuale dittatore Kim Jong-un.
Appena in tempo. Far arrivare la strumentazione non è stato facile (i sismologi possono essere usati anche nell'individuazione di sottomarini) ma superati gli intoppi diplomatici, la strumentazione è rimasta attiva dal 2013 al 2015 - e smantellata prima degli ultimi esperimenti nucleari del regime.
Canale aperto. Le onde sismiche hanno rivelato che una parte importante della crosta potrebbe essere parzialmente fusa, anche se non ci sarebbe, al momento, una piscina di magma liquido vicino alla superficie (spesso preludio di un'eruzione). Ulteriori monitoraggi, anche in collaborazione con la Cina, dovrebbero servire a ipotizzare i tempi e le modalità di eventuali eruzioni, che potrebbero avere ripercussioni sul clima globale.