Le linee cellulari sono popolazioni di cellule in coltura in grado di riprodursi in laboratorio per un numero indefinito di volte. Derivano da una singola cellula o da poche cellule di un particolare tessuto, e in genere hanno subito una trasformazione (per esempio perché derivate da tumori) che le ha rese "immortali". A differenza di tutte le altre cellule animali, che si riproducono per un certo numero di volte e poi invecchiano e muoiono, le linee cellulari sono perenni, e indispensabili alla ricerca.
Una gran confusione. A lungo si è temuto che questa loro immortalità potesse favorire il loro predominio su altri ceppi cellulari in laboratorio. Ora uno studio pubblicato su PLOS One rivela che i timori erano fondati: quasi 33 mila articoli scientifici dal 1955 ad oggi si riferiscono a colture cellulari "sbagliate", contaminate da altre linee cellulari e non corrispondenti al materiale sul quale i ricercatori pensavano di lavorare.
La più famosa. La data scelta non è casuale. La prima linea cellulare umana fu infatti ottenuta nel 1952 dalle cellule di un carcinoma alla cervice uterina di una paziente morta di tumore, Henrietta Lacks. Dalle cellule prelevate durante una biopsia si ottenne - senza che la donna ne fosse al corrente - una linea cellulare poi chiamata HeLa (dalle iniziali della donna), una delle più importanti risorse nell'ambito della ricerca biomedica. Queste cellule hanno permesso, tra le altre cose, lo sviluppo del vaccino contro la polio.
Ebbene, HeLa e altre linee cellulari hanno preso il sopravvento su ben 451 colture, grazie alla rapidità e alla facilità con le quali si riproducono. Oltre cinquecentomila citazioni scientifiche si basano pertanto su colture cellulari mal etichettate: "I ricercatori biomedici potrebbero pensare di essere al lavoro su cellule cancerose umane quando in effetti la maggioranza è stata sostituita da cellule di topo", si legge nel comunicato della Radboud University (Olanda).
Come rimediare? Questo porta a una confusione sull'identità delle cellule, un problema del quale molto spesso i ricercatori non sono al corrente (e solo uno di quelli che affliggono, inevitabilmente, il metodo scientifico). Migliori protocolli anti-contaminazione, insieme a una minore pressione a pubblicare articoli scientifici e alla possibilità di condurre test genetici sulla coltura cellulare prima del suo utilizzo sono possibili soluzioni al problema.
In alternativa, gli studi incriminati potrebbero essere accompagnati da un disclaimer in cui si avvisa del possibile equivoco. Spetterebbe poi ai lettori o agli altri scienziati prendere quel contenuto "con le pinze".