Scienze

Come morirono gli ultimi mammut lanosi?

Le analisi chimiche chiariscono le dinamiche dell'improvvisa scomparsa, 4.000 anni fa, di una piccola popolazione di mammut scampata a una prima estinzione: i sopravvissuti dell'isola di Wrangel.

La fine dell’ultima era glaciale, 11.700 anni fa, segnò anche la fine della fortuna dei mammut lanosi (Mammuthus primigenius). L'aumento delle temperature e la difficile convivenza con l'uomo guidarono i mastodonti al declino: poco meno di 10 mila anni fa, la specie era già scomparsa da ogni angolo di Eurasia e Nord America. Con una fortunata eccezione: un ristretto gruppo di mammut sopravvisse sull'isola di Wrangel, un fazzoletto di terra russa ampio 125 km nell'Oceano Artico. Ai tempi dei mammut, l'isola faceva parte del ponte di terraferma che connetteva la sottile lingua della Beringia all'Alaska e al Canada moderni.

Cold case. Con il rialzo delle temperature e la fusione dei ghiacci, questo istmo fu circondato dall'acqua, e un gruppetto di mammut rimase intrappolato sull'isola appena formata. Lì instaurò una nuova popolazione che sopravvisse per altri 7.000 anni, incurante dell'estinzione degli altri mammut sparsi altrove. Finché, 4.000 anni fa, anche i mammut di Wrangler perirono, in circostanze misteriose e improvvise. Per capire quale cataclisma se li portò via, gli scienziati del Finnish Museum of Natural History hanno analizzato la composizione isotopica delle ossa di 52 mammut dell'isola di Wrangel, confrontandola con quella di altri 25 esemplari di mammut siberiani e con i dati su altri mammut ritrovati in Eurasia e Alaska.

Da paradiso a trappola. Gli isotopi nelle ossa dei mammut di Russia, Ucraina ed Alaska cambiarono drammaticamente prima della loro morte, un dato coerente con il cambiamento di clima e dell'alimentazione animale; questa trasformazione non è però presente nelle ossa dei mammut di Wrangel Island, rimaste invariate fino a 4.000 anni fa. Grosse differenze emergono anche nel contenuto di grassi e carboidrati dei reperti. Se i mammut siberiani dovevano dar fondo alle riserve lipidiche per affrontare i rigidi inverni artici, quelli dell'isola di Wrangel non ne avevano bisogno, perché vivevano in un clima più mite. Questi elementi fanno pensare che la fortunata subpopolazione dovette affrontare minori pressioni ambientali.

Indizi più significativi arrivano dagli isotopi di stronzio e zolfo presenti nelle ossa dei mammut di Wrangel, che suggeriscono una progressiva degradazione delle rocce - con la possibile contaminazione delle acque dolci - dovuta ad agenti climatici. Eventi meteo estremi, come l'abbondanza di piogge invernali al posto delle nevi, potrebbero aver inciso sulla capacità degli animali di accedere al cibo: lo strato d'acqua congelata avrebbe impedito ai mammut di brucare, come accaduto di recente alle renne delle Svalbard.

Troppo simili. Precedenti studi genetici fanno pensare che i mammut dell'isola di Wrangel patissero una scarsa varietà genetica dovuta all'inbreeding, l'accoppiamento tra consanguinei.

«È facile immaginare che la popolazione, forse già indebolita dal deterioramento genetico e dall'acqua di scarsa qualità possa aver ceduto a una circostanza come un evento meteo estremo», spiega Hervé Bocherens, tra gli autori dello studio.

Anche l'uomo potrebbe averci messo lo zampino: le più antiche tracce di presenza umana su Wrangel Island risalgono a pochi secoli dopo la scomparsa dell'ultimo mammut, ma sono relative a una località soltanto. Non è quindi da escludersi che un incontro ravvicinato tra alcune culture arcaiche e i mammut nell'isola di Wrangel possa essere avvenuto.

16 ottobre 2019 Elisabetta Intini
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