Una delle ricerche più complesse e allo stesso tempo più affascinanti dei nostri tempi è quella della vita extraterrestre. Più di un rover è arrivato su Marte anche con tale scopo, altri verranno lanciati nei prossimi anni. Al contempo, si spera di inviare presto delle sonde in prossimità di alcuni satelliti di Giove e Saturno, dove ci sono oceani con caratteristiche adatte a sostenere la vita. Negli ultimi decenni, però, si è aperto un altro campo di indagine estremamente vasto che riguarda la ricerca della vita su pianeti extrasolari, che sempre più numerosi vengono scoperti - quasi giorno per giorno: oggi sono molte migliaia, e più di 3.700 quelli confermati.
Questo tipo di ricerca solleva una questione molto importante: quali caratteristiche devono avere quei pianeti lontani per sostenere la vita in una qualunque forma riconoscibile? Fino a oggi le ricerche sono state condotte con un modello di riferimento ben definito: il nostro pianeta, la Terra.
Vanità o realtà. Potrebbe sembrare vanità... È possibile che "la Terra" sia il solo modello che possiamo immaginare capace di sostenere una qualche forma di vita? Non potrebbero esistere altri modelli, migliaia di modelli diversi da quello che ci immaginiamo?
In realtà, la nostra scelta ha invece un senso: dopotutto, la Terra è l'unico pianeta dell'Universo per il quale abbiamo la certezza che ospiti la vita... Sulla base di ciò che conosciamo ci aspettiamo perciò che anche pianeti molto lontani, per ospitare la vita, debbano avere un mix di oceani, ghiacciai, continenti, foreste e deserti. Paesaggi familiari, insomma.
C'è però qualcosa che dovrebbe farci riflettere: la Terra non è sempre stata così come la conosciamo oggi. Nella sua lunga storia di 4 miliardi e mezzo di anni ha subito trasformazioni molto profonde: anche senza partire dalla crosta ribollente di lave, glaciazioni e periodi di intenso riscaldamento hanno trasformato il pianeta, in tempi geologici, in una palla di ghiaccio o in un ambiente lussureggiante completamente diverso da quello dei nostri giorni. Nel corso del tempo è cambiata profondamente anche l'atmosfera, con periodi durante i quali noi non saremmo stati in grado di respirare.
Eppure siamo qui: dal momento in cui iniziò a formarsi, la vita è rimasta aggrappata al pianeta, adeguandosi ai cambiamenti.
Facciamo il punto. Dobbiamo riflettere su quali indizi cercare su pianeti lontani per ipotizzare la presenza di vita. Sicuramente l'elemento che più di tutti potrebbe essere rivelatore è l'ossigeno: nella nostra atmosfera l'ossigeno sarebbe difficile da giustificare (per un osservatore alieno) se non ci fosse una qualche forma di vita a immetterlo in continuazione.
Anche il metano è interessante: sulla Terra viene rilasciato in abbondanza dai batteri e dalle flatulenze del bestiame, tuttavia esistono anche molti meccanismi non biologici che possono produrlo.
La presenza di un mix di entrambi entrambi, ossigeno e metano, sarebbe un indizio veramente interessante, perché, se per un qualunque evento naturale si fossero formate grandi quantità di ossigeno e metano in modo abiotico (non biologico), si sarebbero poi persi, ben presto trasformati in anidride carbonica, ossigeno e idrogeno (e forse acqua). Solo ipotizzando che vi siano organismi viventi a immettere in continuazione ossigeno molecolare (O2) e metano (CH4) si può spiegare la presenza di questi elementi in atmosfera per tempi molto lunghi.
Guardando mondi lontani, un altro segno rivelatore della vita potrebbe essere la luce riflessa dalle foreste (se esistono). Gli alberi del nostro pianeta assorbono poca luce infrarossa e se si osserva "da fuori" l'assorbimento delle varie lunghezze d'onda della luce si rileva un salto improvviso proprio in prossimità nell'infrarosso, un fenomeno difficile da replicare in assenza di organismi viventi. Queste però sono tutte condizioni attuali del nostro pianeta.
La vita senza ossigeno. Come si diceva, la Terra è stata abitata anche con condizioni ambientali molto diverse (e per noi avverse). Il nostro pianeta ospitò infatti le prime forme di vita circa 4 miliardi di anni fa, quando la crosta si stava ancora raffreddando per formare le rocce dei primi continenti. In quel periodo, noto come Archeano, l'atmosfera terrestre era un concentrato di anidride carbonica (CO2), emessa dai vulcani. Era dunque un ambiente decisamente ostile alla vita come la conosciamo ai nostri giorni, tant'è che la presenza di ossigeno era estremamente ridotta, mentre oggi è attorno al 20%.
Eppure furono condizioni fortunate per la vita: se la quantità di ossigeno fosse stata più elevata avrebbe distrutto la vita sul nascere. L'ossigeno avrebbe "avvelenato" la chimica prebiotica, quella cioè che, si ipotizza, ha portato all'origine della vita "vera e propria" sulla Terra.
Una strada tutta in salita. Solo con il Proterozoico, ossia circa un miliardo di anni dopo, quando la vita si era ben radicata sulla Terra, la fotosintesi iniziò a trasformare l'anidride carbonica in ossigeno, che andò via via aumentando. Fu allora che il Pianeta conobbe per la prima volta un periodo in cui ossigeno, anidride carbonica e metano coesistevano in atmosfera: questo mix portò all'evoluzione accelerata della vita pluricellulare.
Ma proprio quando il nostro pianeta sembrava evolvere in una certa direzione, ossia riscaldandosi sempre più proprio per la presenza di anidride carbonica nell'atmosfera, ecco che vi furono due eventi che lo trasformarono in una palla di neve: la maggior parte della superficie venne ricoperta da ghiaccio.
Non sappiamo esattamente che cosa causò la Terra a palla di neve (Snowball Earth), ma una cosa è certa: se viaggiatori extraterrestri di passaggio avessero visto quello spettacolo, difficilmente avrebbero classificato la Terra come un pianeta adatto alla vita.
Dopo quel periodo, tra un miliardo e 800 milioni di anni fa e 800 milioni di anni orsono, la Terra visse un periodo di apparente stabilità climatica. La vita evolvette molto lentamente e l'ossigeno che veniva prodotto rimaneva a livelli relativamente bassi: è un lungo periodo durante il quale sembra non essere successo nulla di notevole. I geologi lo chiamano appunto "il noioso miliardo di anni".
Ripreso fiato, la vita schiacciò il pedale dell'acceleratore e si ebbe quella che oggi è chiamata esplosione del Cambriano: è durante questo periodo, attorno a 530 milioni di anni fa, che ossigeno e metano raggiungono livelli prossimi a quelli odierni, soprattutto perché le piante prosperarono sulla superficie del pianeta.
OK, qui c'è vita... Ecco, a quel punto un osservatore di passaggio, in cerca di indizi di vita sulla base di modelli in qualche modo simili ai nostri, avrebbe finalmente potuto rilevare quell'anomalia nell'assorbimento della luce infrarossa, prima inesistente.
È una bella lezione per coloro che cercano la vita su pianeti lontani tenendo come elemento di confronto la Terra, perché per circa quattro quinti della storia del nostro pianeta sarebbe stato estremamente difficile se non impossibile rilevare tracce di vita - che pure c'era.
Piccoli aggiustamenti. La questione è tutt'altro che sottovalutata dagli scienziati, è naturale, e negli ultimi anni sono state proposte diverse idee per compensare la debolezza del nostro approccio.
Una di queste propone che gli esopianeti siano osservati per lunghi periodi, anziché limitarsi a un'istantanea della loro composizione atmosferica "attuale" (è per forza di cose un'affermazione relativa: vediamo sempre e solo il passato). Se si osservasse la Terra in questo modo si potrebbe rilevare un cambiamento stagionale nei livelli di anidride carbonica in atmosfera, perché le piante ne usano di più durante la loro stagione di crescita. L'altalenante concentrazione di CO2 sarebbe un indizio di non poco conto.
Certo, non tutti i mondi hanno delle stagioni, che sono legate soprattutto all'inclinazione dell'asse di rotazione; inoltre, se anche ci fossero, potrebbero avere durate di decine di anni.
C'è però un'altra ipotesi di lavoro considerata, al momento, complementare e ancora più interessante: la ricerca di elementi chimici la cui presenza sarebbe difficile da spiegare senza vita.
Nel nostro lontano passato, per esempio, la miscela di metano, anidride carbonica, azoto e acqua in atmosfera sarebbe stata spazzata via in breve tempo se non fosse stata continuamente alimentata, e non c'è alcun modo di pensare alla loro formazione se non a quella biotica.
Prima gli strumenti. Per indirizzare la ricerca lungo queste strade è necessario innanzi tutto avere strumenti che permettano di fare analisi della composizione atmosferica dei pianeti extrasolari con una certa precisione.
Già oggi qualcosa si riesce a ottenere, soprattutto grazie al telescopio spaziale Hubble e ai più grandi telescopi terrestri, ma una vera analisi approfondita delle atmosfere di mondi lontani sarà possibile solo nel prossimo futuro quando, ad esempio, entrerà in attività il James Webb Space Telescope della Nasa (forse nel 2021), o con i grandi telescopi da 30 metri di diametro che si stanno costruendo in questi anni.
Tutto a posto, allora? No. Gli eventuali indizi rilevati dai nuovi potenti strumenti potrebbero non essere risolutivi: la verità è che altri pianeti potrebbero avere conosciuto un'evoluzione della vita diversa, persino molto diversa da ciò che è successo sulla Terra, e avere di conseguenza anche atmosfere molto differenti. Non per nulla, ogni volta che serve diciamo "la vita così come la conosciamo". Insomma, è una sfida complessa, ma in fondo è per questo che scrutiamo il cielo.