Restano circa 12 anni per provare a mantenersi entro quel tetto di +1,5 °C di riscaldamento globale menzionato nel testo degli Accordi di Parigi. Dopodiché, anche soltanto mezzo grado di aumento delle temperature comporterà conseguenze devastanti per i ghiacci, i raccolti e gli ecosistemi, a cominciare da inondazioni, siccità, perdita di specie e povertà diffusa.
Non usa giri di parole il testo completo del Rapporto Speciale dell'IPCC, Global warming of 1,5 °C, appena pubblicato dopo il meeting in Sud Corea. Il testo, frutto di tre anni di lavoro e della revisione di oltre 6.000 studi climatici, afferma che stiamo andando verso un disastroso innalzamento di oltre 3 gradi, che arriveremo alla soglia di +1,5 °C attorno al 2030 e che pensare di poter gestire gli effetti di un innalzamento di temperature oltre questo limite è una pura illusione.
Con estremi sforzi economici e tecnologici, non tutto è perduto, e possiamo ancora provare a non oltrepassare questo grado e mezzo. Di seguito una sintesi del documento, che risponde ad alcune fondamentali domande.
1. Che cosa vuol dire un mondo più caldo di 1,5 °C rispetto ai livelli pre-industriali? E qual è la differenza rispetto ai + 2°C?
Il limite più basso dei due è lo scenario più auspicabile delineato nel testo finale della COP21, che però menziona l'opportunità di rimanere "ben al di sotto dei +2 °C". In quel mezzo grado si decide la sorte di intere popolazioni umane e animali.
A +1,5 °C la popolazione mondiale esposta a innalzamento dei mari sarebbe inferiore del 50% rispetto al peggiore dei due scenari. Se si arrivasse a +2 °C, il livello del mare salirebbe di 10 cm entro il 2100, ma rimanendo a +1,5 °C ci sarebbero 10 milioni in meno di persone a dover fronteggiare questa minaccia nelle aree insulari e costiere.
La scarsità di cibo riguarderebbe milioni di persone in meno: gli insetti, vitali per l'impollinazione, sarebbero due volte più minacciati, con mezzo grado di riscaldamento globale in più. L'acidità dei mari aumenterebbe, decretando la perdita di 3 milioni di tonnellate di pesce con un innalzamento di +2 °C, un collasso due volte peggiore di quello prospettato a +1,5 °C. A +2 °C i giorni estremamente caldi come quelli sperimentati quest'estate nell'emisfero nord aumenterebbero, così come gli incendi; le coltivazioni di riso, mais e grano sarebbero più difficili e meno nutrienti.
Restare al di sotto del +1,5 °C vorrebbe dire evitare la totale scomparsa dei coralli, salvandone almeno il 10%. Nell'Artico, che si scalda 2-3 volte più rapidamente del resto del pianeta, le estati senza ghiaccio marino salirebbero da una ogni 100 anni (entro i +1,5 °C) a una ogni 10 (a +2 °C).
2. Che cosa dovremmo fare per "limitarci" a +1,5 °C? Le emissioni globali di gas serra andranno tagliate del 45% entro il 2030, con l'obiettivo di arrivare a "emissioni nette zero" entro il 2050. Da quel punto in avanti, ogni emissione in uscita andrà sequestrata con strumenti di cattura della CO2 e la riforestazione avrà un ruolo indispensabile in questo senso.
Il cambio di passo necessario è comunque sostanziale, rispetto al limite di +2 °C. In quel caso, le emissioni avrebbero dovuto essere tagliate del 20% entro il 2030, e azzerate entro il 2075. Per rientrare nel più basso dei tetti occorrerà imporre prezzi per la CO2 tre-quattro volte più alti, ma i costi che dovremmo sostenere se dovessimo "sforare" sarebbero ancora più alti.
Le energie rinnovabili, continua il documento, dovranno fornire dal 70 all'85% dell'elettricità totale entro il 2050. Un'area compresa tra 1 e 7 milioni di km quadrati (dalla superficie dell'Egitto a quella dell'Australia) dovrà essere dedicata a raccolti da usare per la produzione energetica.
Poiché la competizione con i raccolti per il consumo alimentare è alta, questa transizione andrà gestita con attenzione, ma allo stesso tempo è necessaria: i biocarburanti sono, secondo gli autori, l'unica alternativa valida a settori responsabili di un alto quantitativo di emissioni come quello del trasporto aeronautico e navale. Il ricorso al carbone dovrà essere gradualmente eliminato, e l'utilizzo di gas limitato fino a generare al massimo l'8% dell'energia globale, sempre in combinazione con tecniche di sequestro delle emissioni.
3. Quanto costerà tutto questo? In base al rapporto occorrerà un investimento annuale medio in sistemi energetici sostenibili di 2,4 trilioni di dollari fino al 2035 (un trilione equivale a mille miliardi). Una cifra consistente, ma meno onerosa di quella che dovremo sborsare per provvedere al sequestro di CO2 in un secondo tempo, o per risolvere le catastrofi climatiche cui andremmo incontro, non rispettando il limite dei +1,5 °C. I piani di geo-ingegneria che dovremmo mettere in campo se ci ostineremo a non rispettare il tetto più basso, oltre ad essere incredibilmente costosi, hanno un potenziale pericoloso non del tutto chiaro, e non rappresentano una valida alternativa.
4. Tutto questo è fattibile? Sì, secondo gli esperti che hanno analizzato il documento, a patto che la decisione politica di aderirvi sia immediata (12 anni passano in fretta). In questo senso, il rapporto costituisce un'indicazione dei lavori della conferenza sul clima che si terrà a dicembre in Polonia (la COP24). Provarci è nelle nostre possibilità, e implicherà un cambiamento radicale nello stile di vita, ma non possiamo più fingere che il problema non ci riguardi (come del resto ha ricordato anche in mattinata il neo Nobel per l'Economia Paul Romer, in un premio strettamente legato all'attualità ambientale).