Si può fare il miele senza api, il latte senza mucche e le uova senza galline? Sembrerebbe proprio di sì: in laboratorio. È infatti questa l'ultima frontiera del "cibo sintetico", portata avanti da diverse aziende in tutto il mondo.
Non si tratta di una novità assoluta: la carne sintetica (o coltivata, sarebbe meglio dire) durante la pandemia ha conosciuto un notevole incremento dei consumi, e i "formaggi" ottenuti a partire da proteine vegetali sono in commercio già da diverso tempo. Ma il sapore, la consistenza e l'esperienza alimentare sono ancora ancora lontani da quelli dei prodotti originali.
La chimica del lievito. Diverse start-up stanno però investendo per ottenere alimenti di sintesi biologicamente identici a quelli di origine animale: la strada più promettente sembra essere quella che si basa su lieviti e processi di fermentazione simili a quelli utilizzati nella produzione della birra.
MeliBio per esempio, è un'azienda di San Francisco che grazie a opportuni processi fermentativi ottiene un miele che sarebbe identico a quello prodotto dalle api.
«Simuliamo in laboratorio quello che avviene nell'alveare: le api raccolgono il polline e lo convertono negli elementi base del miele, glucosio e fruttosio», ha dichiarato alla BBC Darko Mandich, fondatore dell'azienda.
Alla MeliBio questo processo viene replicato utilizzando la fermentazione: viene fornito un alimento a particolari microrganismi, i lieviti, che lo trasformano in qualcosa d'altro. È quello che succede con la birra: i lieviti digeriscono gli zuccheri e li trasformano in alcol. Scegliendo opportunamente l'elemento di partenza e la famiglia di lieviti è possibile attivare processi di fermentazione in grado di produrre quasi tutto: miele, albume d'uovo, latticini.
Non solo miele. Alla Clara Food, altra start-up californiana che produce albume d'uomo artificiale, sostengono che il loro prodotto, oltre che essere di ottima qualità, sia meglio di quello originale per tutti gli impieghi culinari: si conserva meglio, più a lungo e non ha problemi di contaminazione con batteri o antibiotici.
Meglio dell'originale. L'aspetto interessante di questi prodotti è che possono essere, in una certa misura, progettati per specifici impieghi. La fermentazione cioè, può essere controllata per conferire all'alimento determinate caratteristiche: un formaggio destinato alla farcitura degli hambuger, per esempio, può essere "costruito" per sciogliersi a una certa temperatura senza dover aggiungere grassi che, bruciando, possono rilasciare sostanze nocive.
Etichetta trasparente. Nel giro di qualche anno questi prodotti saranno pronti per la commercializzazione: ma come saranno etichettati? È giusto chiamarli "uova", "formaggio", "miele"? Secondo i loro ideatori (ovviamente!) sì, perché dal punto di vista molecolare sono del tutto identici agli originali.
Ma eventualmente l'idea di doverli chiamare con un nome diverso non sembra preoccupare le aziende che, anzi, potrebbero puntare proprio sulle superiori qualità dei loro prodotti per differenziarli dai "vecchi" prodotti di fattoria.