Scienze

Cellule staminali e clonazione di tessuti umani

A pochi giorni dall'annuncio di una tecnica di successo per la clonazione di tessuti umani, la ricerca è messa in dubbio da più parti. Facciamo chiarezza sulla tecnologia della clonazione e separiamo le obiezioni a quella ricerca dalle critiche fatte ai suoi autori.

La rivista è fra le più prestigiose, Cell, e l'articolo scientifico pubblicato il 15 maggio è stato accolto da ricercatori e giornalisti con entusiasmo, definito di volta in volta "una pietra miliare", "un balzo in avanti", "un grande progresso" della scienza sulla via della medicina personalizzata. Ma forse l'entusiasmo era prematuro e non è tutto oro quel che riluce nell'articolo, almeno secondo i commenti dei ricercatori raccolti sul sito PubPeer. Ma procediamo con ordine.

Nell'ultimo fascicolo della rivista scientifica Cell un gruppo di ricercatori del National Primate Research Center di Beaverton (Oregon, Usa) guidati da Shoukhrat Mitalipov annunciava di aver prodotto cellule staminali embrionali umane per clonazione. Cioè di aver creato in laboratorio cellule staminali embrionali geneticamente identiche a quelle di un individuo adulto. Il risultato era stato ottenuto trasferendo il nucleo di una cellula somatica (non germinale) di un individuo adulto in una cellula uovo non fecondata: tecnica che i ricercatori chiamano trasferimento nucleare di cellule somatiche.

Questa tecnica non è nuovissima: chi ricorda la storia di Dolly, la pecora più famosa del mondo? Il 5 luglio 1996 al Roslin Institute di Edimburgo, in Scozia, Ian Wilmut e Keith Campbell facevano nascere Dolly, il clone, cioè la copia genetica esatta di una pecora adulta. In laboratorio i due ricercatori avevano estratto il nucleo, cioè il Dna, da una cellula di mammella della pecora "A" e lo avevano inserito nell'uovo non fecondato della pecora "B" creando un embrione geneticamente identico ad "A". Infine avevano inserito l'embrione clonato nell'utero di una terza pecora, "C", che aveva portato a termine la gravidanza dando alla luce appunto Dolly. I ricercatori chiamano questa tecnica trasferimento nucleare di cellula somatica in un uovo.

Dal 1996 a oggi molti laboratori hanno provato a replicare questa tecnica con cellule umane, ma senza successo. Nella migliore delle ipotesi la cellula di partenza è arrivata a moltiplicarsi fino a 8 cellule, cioè tre divisioni, ma poi è andata in stallo. I ricercatori si sono quindi accontentati delle cellule IPS, o Induced pluripotent stem cells, cioè cellule staminali pluripotenti indotte, che fruttarono nel 2012 il Nobel al giapponese Shinya Yamanaka, dell'Università di Kyoto, ottenute inserendo in una cellula somatica adulta, come per esempio una cellula della pelle, 4 geni caratteristici delle cellule embrionali.

Su Cell, invece, i ricercatori del National Primate Research Center affermano di essere riusciti a clonare una cellula di pelle di un bambino inserendo il suo nucleo in un uovo svuotato, creando cellule staminali embrionali: in pratica la stessa tecnica di Dolly.

L'espediente usato? La caffeina, che agirebbe come briglia chimica impedendo all'uovo di replicarsi prima che il trasferimento del nuovo nucleo sia terminato. E poi le manipolazioni dell'uovo sotto luce polarizzata e non sotto gli ultravioletti, che lo danneggerebbero.

In gravidanza, dalle prime staminali embrionali si generano circa 200 diversi tipi di cellule che formano il corpo umano

Nessuno vuole creare un nuovo individuo: i ricercatori sperano di usare questa tecnica per fornire tessuti di ricambio per i malati. Le cellule staminali embrionali infatti sono i progenitori di tutte le cellule del corpo: nel corso della gravidanza quel primo grumo di staminali embrionali si moltiplica e differenzia dando origine ai circa 200 diversi tipi di cellule che formano il corpo umano: della pelle, dei neuroni, del sangue e delle ossa, del cuore, del rene e via elencando. Insomma, le staminali embrionali possono diventare qualsiasi cellula del corpo.

Ancora non sappiamo come usarle nei malati: da queste stesse cellule hanno infatti origine anche i tumori, e al letto dei malati riusciamo a usare con una certa disinvoltura solo le cellule staminali adulte, contenute nel midollo dello sterno e del bacino. Non sappiamo ancora usare bene neppure le altre cellule staminali adulte. Quindi le staminali embrionali sono ancora molto lontane dal letto dei malati, ancora qualche decennio, ma in futuro la disponibilità di queste cellule potrebbe consentire di rigenerare organi danneggiati.

Ma i ricercatori dell'Oregon ci sono riusciti? Prima di loro, era il 2004-2005, con la stessa tecnica, ma sulla rivista Science, aveva cantato vittoria Hwang Woo-Suk, della Seoul National University (Corea del Sud), e poi si dimostrò che si era trattato di frode scientifica.

In questo caso, per adesso, stanno emergendo solo errori imbarazzanti, relativi all'accuratezza della relazione scientifica. L'articolo era appena uscito che comparivano le prime critiche su PubPeer.com, sito in cui i ricercatori commentano liberamente in anonimato gli articoli scientifici pubblicati. Otto commenti segnalano una serie di errori piuttosto grossolani. Si tratta di errori di foto e di dati, ma secondo uno dei revisori anonimi, i geni che risultano attivati nelle staminali del clone sono identici a quelli normalmente attivati nelle cellule staminali della fecondazione artificiale. Gli autori riconoscono gli errori nelle foto ma non nei contenuti e ora stanno preparando una rettifica. Inoltre, hanno inviato le cellule a tutti i ricercatori che le hanno richieste, per consentire loro di esaminarle.

Ma la maggior parte delle critiche va alla rivista scientifica: il manoscritto è arrivato a Cell il 30 aprile, il 3 maggio era già accettato: 3 giorni per la revisione di un articolo scientifico sono veramente pochi. D'altra parte, Nature sostiene di aver tenuto in stand-by per 6 mesi un articolo di Mitalipov in cui il ricercatore riportava di avere usato il "metodo Dolly" per clonare embrioni di scimmia. Poi un gruppo concorrente ha replicato i suoi risultati e Nature ha pubblicato contemporaneamente entrambi gli articoli: nemmeno questo sembra essere un metodo corretto...

Il direttore di Cell, Emilie Marcus, difende su Facebook l'articolo scientifico e la tempestività dell'attività di revisione, che attribuisce all'importanza dell'articolo, e conclude affermando che «È sbagliato equiparare la lentezza di una peer review con la completezza e il rigore, o usare una peer review tempestiva come scusa per la sciatteria nella preparazione di un manoscritto».

A questo punto solo il tempo dirà se la scienza ha fatto un passo in avanti o se la revisione fra pari ha rivelato l'ennesima frode scientifica.

27 maggio 2013 Amelia Beltramini
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