Scienze

Biologia sintetica: la vita creata in laboratorio?

Sabato 6 ottobre, sulle pagine del quotidiano inglese The Guardian, Craig Venter ha affermato di aver creato una nuova vita. Una dichiarazione da buon commerciante, più che da grande scienziato:...

Biologia sintetica: la vita creata in laboratorio?
Era ormai un decennio che bolliva in pentola: aveva cominciato a lavorarci, e ce ne sono le prove, alla fine del secolo scorso. L’aveva anche preannunciato, nel novembre 2002. Sabato 6 ottobre, sulle pagine del quotidiano inglese The Guardian, Craig Venter ha affermato di aver creato una nuova vita. Una dichiarazione da buon commerciante, più che da grande scienziato: del resto questa nuova creatura è destinata a fare dollari a palate. Quanto al personaggio è assai controverso e ha già molti primati: il primo a sequenziare il genoma di un organismo vivente; il primo a pubblicare il genoma di un essere umano (il suo); il primo, nel 2003, a creare un virus sintetico.

Amelia Beltramini, 10 ottobre 2007

Come si fabbrica una cellula: clicca sull'immagine per vedere lo schema completo.


Quando nel novembre 2002 annunciò che non si proponeva di brevettare qualche gene, ma la vita stessa, non ci credettero in molti. Ma al J. Craig Venter institute di Rockville, Maryland, stavano già lavorando da tempo due dei suoi migliori ricercatori: Clyde Hutchinson, emerito di microbiologia alla University of North Carolina a Chapel Hill, e Hamilton Smith, Nobel della fisiologia e medicina del 1978. Che il batterio sintetico non fossero chiacchiere fu chiaro quando il 31 maggio di quest’anno fu resa pubblica la richiesta di brevetto n. 20070722826, presentata senza clamori il 12 ottobre 2007, con richiesta di pubblicazione in oltre 100 uffici brevetti nazionali a livello internazionale. Il titolo della richiesta di brevetto, "Minimal bacterial genome", cioè il genoma minimo necessario per far sopravvivere un batterio.

Sicurezza, morale, regole, ...
In che cosa consiste questa nuova vita creata in laboratorio? È fatta di 381 geni identificati con un lavoro da certosino del gruppo di ricercatori di Venter. Hanno preso il genoma del Mycoplasma genitalium (un batterio sospettato di essere all’origine di uretriti o altre patologie infiammatorie della zona pelvica), il primo sequenziato dai genetisti, e ad uno ad uno hanno disabilitato i suoi 470 geni per verificare di quali poteva fare a meno.
Scoperto quali erano necessari alla sua sopravvivenza, 381 appunto, hanno sintetizzato in laboratorio una stringa di Dna che li contenesse tutti, per un totale di 580 mila coppie di basi di materiale genetico. Poi hanno preso un micobatterio naturale, hanno enucleato il suo materiale genetico, e vi hanno inserito quello artificiale, conservando tutto il macchinario molecolare necessario per leggere i geni e tradurli in proteine: questo sarebbe l’organismo artificiale.
Certo si tratta di un progresso nell’ingegneria genetica, o meglio, della biologia sintetica, come si chiama ora questa branca della biologia. Gli unici a notare il brevetto furono i bioetici canadesi dell’Etc group di Ottawa, che hanno chiesto a Venter di ritirare la richiesta di brevetto e all’ufficio brevetti di non accettarlo con l’accusa che la richiesta era contraria alla morale pubblica e alla sicurezza. L’obiezione maggiore si basa sulla convinzione che l’uomo non debba mischiarsi con un certo tipo di faccende. «Per la prima volta Dio ha un concorrente» ha detto Pat Mooney, dell’Etc.

... responsabilità della scienza
Qualche ragione Etc ce l’ha. La biologia sintetica sta avanzando a passi da gigante, e per immaginare usi terribili non ci vuole molta fantasia. Ma in questo caso uno dei vantaggi di un genoma minimo è che i geni rimossi, non necessari alla sopravvivenza, sono essenziali invece per rendere il batterio robusto. Un batterio ridotto ai minimi termini non ha nessuna possibilità di sopravvivenza se si trova allo stato selvatico. Sopravvive giusto in laboratorio, dove viene circondato di ogni tipo di cura. E non è certo interesse dei ricercatori lasciare che la loro creatura sfugga al controllo.
E infatti alla fine degli anni 90 del secolo scorso era già al lavoro, per conto di Venter, un Ethics and genomics group, guidato da Mildred K. Cho, del Center for Biomedical Ethics della Stanford University, che stilava regole e un codice di condotta per impedire che con il loro metodo si possano sintetizzare batteri patogeni. Mentre sulle pagine della rivista scientifica Science, Cho praticamente non avanzava obiezioni al progetto pur sottolineando che i ricercatori dovevano assumersi la responsabilità di qualsiasi conseguenza negativa derivasse dalla loro creatura.
In effetti il batterio sintetico, che è marcato in modo da essere riconoscibile, è costruito in modo da morire appena lascia il terreno di coltura del laboratorio reso volutamente innaturale.
I ricercatori avevano dato alla loro creatura il nome “Synthia”, cioè organismo sintetico, mentre l’Etc l’aveva chiamato Mycoplasma laboratorium, e Venter si è limitato ad adottare questo soprannome.

Ma il vero problema è: come sarà usato?
Questo batterio è però un animale da soma: per essere utile deve trasportare qualche altro gene. Con l’aggiunta di geni sintetici, il batterio può fare molte cose. C’è solo da sbizzarrirsi. Secondo Venter potrebbe produrre idrogeno, fonte di energia non inquinante del futuro. Oppure assorbire CO2 o altri gas responsabili dell’effetto serra. Il problema non è come sarebbe possible utilizzarlo, ma come sarà utilizzato. Anche quando si parlò di Ogm si disse che avrebbero reso verde il deserto, e sarebbero diventate coltivabili anche le terre troppo saline. Ma finora dai laboratori sono usciti solo semi resistenti agli erbicidi prodotti dalle aziende di agrobiotecnologie: uno spreco di ricerca quindi.

Certo qualche obiezione si può fare.
1. Il Mycoplasma laboratorium non è molto artificiale, perché se anche la sequenza di Dna è stata sintetizzata in laboratorio, di fatto è la copia di una sequenza esistente in natura. E anche la cellula che ospita la sequenza e tutto il macchinario che dà significato a quella sequenza, è quella di un batterio naturale. Quindi si tratta di un batterio naturale al quale sono stati tolti alcuni geni. Merita un brevetto un batterio così? Mah...

2.
Il batterio scelto, un micobatterio appunto, è il più facile da “lavorare”, visto che manca della parete cellulare tipica di molti altri batteri, e questo elimina un possibile impedimento al trasferimento del genoma. Ma ha altri handicap: per esempio è di lenta riproduzione, e se si vuole produrre idrogeno su questa base rischia di essere una produzione molto lenta...

3.
Prima di parlare in modo più approfondito bisogna aspettare che i ricercatori di Venter pubblichino un articolo scientifico, che ancora non si è visto.

4.
Per creare un batterio da lavoro, non è necessario farne uno nuovo: George Church, di Harvard, sta aggiungendo geni utili a batteri esistenti, ottenendo lo stesso risultato.

5.
In natura esistono già batteri capaci di produrre idrogeno e altri capaci di assorbire la CO2 sono noti da quasi un secolo.

6.
Forse l’ambientalismo che si prefigge Venter è solo una patina verde per rendere più accettabile una tecnologia che sarà buona o cattiva secondo il suo utilizzo.

10 ottobre 2007
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